10. Tisana e sigarette

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[🎵 Now playing » Nightmares - Palaye Royale]

"Ho perso troppo sonno.
Nessuno può sentire quando urli.
I miei sogni diventano i miei incubi.
La mia mente non andrà a dormire,
quindi abbraccio il terrore."


Aaron si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, grondante di sudore e col respiro mozzato.

Sentiva il cuore martellare forte contro il petto e i polmoni sul punto di collassare. Non per la mancanza d'aria ma per il modo pungente con cui ogni respiro affannato che cercava di far uscire dalla bocca sembrava graffiarli.

Infilò una mano sotto la maglietta e si massaggiò il torace. La maglia che portava addosso sembrava essersi ristretta di due taglie; le cicatrici bruciavano dove il tessuto le toccava.

Con fatica si tirò a sedere sul letto e strinse forte le lenzuola tra le dita. Fece vagare lo sguardo nella penombra della stanza per accertarsi di non stare ancora sognando, ma non era più sicuro di sapere dov'era o quando. Il tempo pareva essersi dilatato, perché nei sogni era possibile incastrare giorni in minuti e anni in ore.

Un sapore metallico gli riempì la bocca impastata, impossibile da mandar giù: era il sapore di ricordi vecchi, troppo pesanti da affondare, che trovavano sempre il modo di riemergere in superficie e frapporsi tra presente e futuro.

Un senso crescente di inquietudine si impadronì di lui, generato dagli incubi che avevano preso residenza nella sua testa e che si erano poi estesi in ogni parte del suo corpo, atrofizzando gli arti.

Provò a muoversi per scendere dal letto, ma impiegò più del dovuto perché le gambe erano diventate due zavorre. Quando avvertì la superficie ruvida della moquette al di sotto della pianta dei piedi emise un sospiro di sollievo. Si rese conto di dov'era e dove invece non era.

Ma sapeva che si trattava solo di un sollievo momentaneo: i demoni del passato sarebbero tornati a tormentarlo la prossima volta che avrebbe abbassato la guardia, nonostante ci fossero anni e miglia di distanza a tenerli lontani. Non importava dove andava, loro lo avrebbero sempre trovato.

Per un attimo provò un'invidia profonda nei confronti di chi era capace di dormire tranquillo la notte.

Provò a concentrarsi sull'emissione di fiato per riprendere controllo del proprio corpo. Chiuse e aprì i pugni più volte per misurare ogni respiro fino a che non gli sembrò di inspirare ed espirare in modo corretto, mentre il battito del cuore si normalizzava.

Ignorò il modo in cui le mani tremavano ancora mentre si tirava in piedi e usciva dalla stanza.

In modo cauto, per non svegliare gli altri, si fece strada nel corridoio scuro con la luce del telefono fino a raggiungere l'angolo dedicato alla cucina. L'orologio sullo schermo lo informò che erano le due del mattino.

Aaron non ne fu sorpreso.

Si trattava del solito orario che lo teneva sveglio – "l'orario delle streghe" – quello in cui si aprivano sepolcri, si risvegliavano fantasmi e scoccavano malefici. Non aveva mai dato peso alle credenze popolari, ma si era convinto di essere perseguitato dalla cattiva sorte.

Le mani continuarono a tremare anche mentre si versava un bicchiere d'acqua sotto il getto del rubinetto. Deglutì con rapidità un bicchiere dopo l'altro per mandare giù il nodo che si era incastrato in gola, ma fu inutile. Non riuscì a tranquillizzarsi. Così si avviò verso l'ingresso, infilò le scarpe senza nemmeno preoccuparsi di indossare i calzini o una giacca, e uscì fuori, pronto a correre senza meta fino a stancarsi.

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