CAPITOLO 172

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«Merda.» Furono le sue parole, prima di girarsi nella mia direzione.

Il pugno si fece ancora più stretto.

«Tu rimani qui e non far entrare nessuno...» Le parole sempre più roche.

«Nessuno che tu non voglia.» Si affrettò ad aggiungere.

E non riuscii a capire se l'esitazione che scorsi nella sua voce fosse dovuta alla sua solita timidezza o a quegli aromi afrodisiaci.

Ma non ebbi modo di scoprirlo perché lasciò la stanza prima ancora che io potessi anche solo prendere fiato.

Per il primo momento valutai davvero l'idea di chiudermi in quella capanna, cercando la fonte, la causa di quelle pulsazioni a cui non ero abituata, ma non trovai nulla.

Non trovai nulla neanche scoprendo le coperte, svuotando i cuscini o smembrando parti del materasso in paglia.

Niente.

E la visuale stava perdendo sempre di più la sua focalizzazione, la sottile veste cerimoniale in seta era sempre più appiccicosa sulla pelle e il respiro era sempre più corto.

La testa mi sbatteva.
Gola e narici mi bruciavano.

Non resistetti più.

Aprii la porta, correndo scalza verso il lago poco lontano dalla capanna.

Le falcate tanto ampie quanto instabili.

Schizzi d'acqua si sollevarono quando raggiunsi la riva che, seppur rallentando i miei passi, non ostacolò il mio proseguimento.

E così prima le gambe, poi la vita, il petto... lasciai che quella freschezza facesse tremare la mia pelle bollente, più sensibile del solito.

Ma anche allora non mi fermai, e proseguii finché non raggiunse il collo.

E mi immersi, la testa sotto la superficie, in modo che l'acqua mi avvolgesse la nuca, i capelli, le orecchie, e che si infilasse sotto ai vestiti, tra le ciglia, tra le labbra chiuse.

Lasciai che mi inghiottisse, che spegnesse il bruciore della mia pelle, che alleviasse la sete della mia gola.

Ma quando riemersi, quando quel contatto venne a mancare e la mia pelle si ritrovò asciugata dal vento caldo, quel ritrovato bruciore mi investì la testa, mi annebbiò la vista.

Il paesaggio, la foresta, ai miei occhi, appariva come una massa confusa, sempre in movimento. Eppure mai tanto nitida, mai tanto colorata, mai così dettagliata, profumata e rumorosa.

E ogni dettaglio mi accecava gli occhi.
Ogni odore mi riempiva le narici.
Ogni rumore mi assordava le orecchie.

Vedevo tutto, ma non osservavo nulla.
Sentivo tutto, ma non ascoltavo nulla.

Eppure avrei giurato di averlo visto.
Per un istante, prima che mi voltassi dall'altro lato, avrei giurato di averlo visto.

Rubyo.

Cosa ci facesse, lì, non stetti neanche a chiedermelo.

Perché era un sogno, un bellissimo sogno.
Una visione che con il tempo sarebbe scomparsa, si sarebbe affievolita.

Eppure volevo godermela.
Finché durava, io, volevo godermela.

Uscii dall'acqua, camminando in direzione di dove mi era parso di vedere il suo viso.

Sentivo, pesante, la veste cerimoniale tirarmi verso il fondale.

E così basso, sapevo che non sarei annegata, ma quella forza mi impediva di proseguire, mi faceva arrancare.

Sentivo la scollatura, profonda, aprirsi sempre di più sulle spalle, sul petto, fin quando la mia pelle, ora così scoperta, non rabbrividì alla carezza di un venticello tiepido.

E le ginocchia quasi non riuscivano più a reggere il mio peso quando i miei piedi raggiunsero la riva.

Sentivo il cuore battermi rapido.

Forse per l'afrodisiaco.
Forse per aver creduto di aver visto Rubyo.
O, forse, perché ora non riuscivo più a trovarlo.

Mi guardai intorno e il bosco girò assieme a me.

La veste, sempre più lunga, si arrotolò attorno alle caviglie.

Tentai un passo, ma caddi.
Caddi al suolo, sbattendo le ginocchia nell'erba.

E sentii un sassolino infilarsi nella carne, premere contro la mia pelle che, così sensibile, non riusciva a localizzare con esattezza il punto.

Perché ora quel dolore, a tratti così piacevole, si espandeva come onde in tutto il mio corpo, fino a raggiungere le spalle.

Mi piegai sull'erba, i pugni chiusi attorno ai fili come a cercare dell'appiglio in un mondo in perpetua rotazione.

Ansimavo.
Tremavo.

Poi una mano.
Tesa, sotto il mio naso.

Sembrava l'unica cosa più salda dell'erba, più fissa nel movimento.

La afferrai con entrambi i miei palmi.
E mi ci aggrappai come fosse un'ancora, il respiro affaticato.

Feci forza sulle gambe per sollevarmi e, con me, anche il mio sguardo, che risalì le vene di quella mano, di quel braccio, fino alla spalla, al collo, alla mascella.

Agli occhi smeraldo.

E tutto il resto apparve improvvisamente sfocato, ora che la mia attenzione era totalmente su di lui.

Il mondo intero continuava a girare, eppure io sembravo sospesa in quell'universo.
Indifferente a quel moto, come se stessi camminando sul velo dell'acqua.

«Sei qui per me?» Chiesi, ma il mio tono non espresse alcuna domanda.

Perché per quanto mi rifiutassi di accettarlo, lo sapevo.
Lo sapevo fin troppo bene come quella fosse la più bella illusione che l'afrodisiaco potesse mostrarmi.

E in quanto tale, non c'era alcun bisogno di fare una domanda a ciò che la mia stessa mente avrebbe dato una perfetta risposta.

«Io-» Osservai le sue labbra schiudersi, il pomo d'Adamo alzarsi e abbassarsi.

«Si.» Disse infine.

I miei occhi chiusi, come ad assaporare quel dolce suono.

Perché sapevo che sarebbero state quelle le sue parole.
Ero stata io a studiarle, io a sceglierle.

Eppure sentirle...
Sentirle mi fece tremare le ossa, sciogliere il cuore.

Ma l'aria fresca mi stava facendo recuperare lucidità più velocemente di quanto avessi voluto.
Perché quell'illusione era così dolce, che non volevo fosse altrettanto breve.

Allora afferrai la personificazione di quel sogno per mano, trascinandola con me all'interno della stanza in cui avrei dovuto trascorrere la notte con il mio sposo, inquinandone la purezza con fantasie perverse.

E, con la porta chiusa alle mie spalle, respirai a pieni polmoni quel miasma tossico che riempiva l'aria, oramai per me già più assuefacente della Dose.

Ma se prima non volevo fare domande, porre quesiti, alla mia stessa mente che aveva già la soluzione pronta, il dialogo perfetto, ora invece volevo crogiolarmi in quella compiacenza perché forse, dopotutto, non era poi così male.

Perché forse, dopotutto, non era poi così brutto sentirsi dire esattamente ciò che si volesse.

Royal Thief IIIWhere stories live. Discover now