CAPITOLO 190

271 23 23
                                    

I Rasseln non bloccarono la nostra avanzata e raggiungere le segrete fu più facile del previsto.

Così facile, che una morsa mi strinse lo stomaco alla realizzazione di come la mia mente ricordasse la strada per raggiungere la prigione meglio di quanto non facesse con quella per le mie stesse stanze.

Un corridoio ampio. L'echeggiare dei miei passi.
Delle scale scale in pietra. La temperatura più bassa.
Delle mura strette. L'acuirsi dell'ombra.
Le celle. Il tanfo del ferro.

Eravamo arrivati.

Mi voltai verso Rubyo, tutt'uno con la mia ombra allungata al suolo.

«Lasciateci soli.» Ordinai alle sentinelle di guardia e queste obbedirono.

Odiavo ammetterlo, ma il finto senso di libertà e controllo che Markus mi aveva concesso mi stava tornando utile.

Peccato che gli si sarebbe ritorto contro.

«È potente.» Ammisi, rivolgendomi a Rubyo alle mie spalle.

Quella fu la prima occasione che avemmo di discutere di quanto successo a cena senza destare orecchie sospette.

«Troppo.» Rispose lui, mentre i nostri passi, veloci solo quanto i nostri sguardi, si muovevano da una cella all'altra in cerca di Dollarus e Degorio.

I prigionieri erano aumentati dall'ultima volta: ora quasi ogni cella ospitava un detenuto.

«Come ha fatto in così poco tempo...?» La voce di Rubyo arrivò da un altro angolo delle segrete.

«Non lo s-»

Le parole mi morirono sulla labbra quando, accasciato al centro di una cella, trovai un uomo con la schiena mutilata da lunghe e profonde ferite ancora fresche.

Sussultai, conoscevo troppo bene la forma di quei solchi nella pelle: frustate.

Le avevo anche io.

Le avevo subite.
Le avevo patite.
Le avevo superate.

La loro presenza mi aveva temprato negli anni più di quanto il dolore non avesse fatto. 

Eppure oramai i segni sulla mia schiena, più che cicatrici somigliavano a ferite di guerra.
Niente di cui vergognarmi. Solo qualcosa di cui andare fiera.

E stavo quasi per superare quella cella quando una voce roca mi fermò.

«Io-» Disse, e il suo volto uscì dall'ombra. «Volevo solo fargli un favore.»

Il mio cuore ebbe un fremito quando riconobbi quell'orecchio mutilato.

Era lui.
Era lo stesso uomo che mi aveva colpita con una pietra durante il mio arrivo in carrozza.

Come era finito lì?
Sapevo che fosse stato Markus.
Non avevo dubbi che fosse stato lui a farlo imprigionare.

Eppure come era possibile?
Credevo di essere stata l'unica ad averlo visto.

E anche allora, tra tutta quella folla, non ero riuscita a distinguerlo chiaramente se non per quest'unico dettaglio.

Rabbrividii.

Quanto, gli occhi di Markus, erano estesi sul Regno?

«Mi dispiace.»

Un tempo forse mi sarei fermata a parlargli, a chiedergli spiegazioni e a raccontargli la mia versione dei fatti. Gli avrei detto come non fossi la sorella ribelle; come mi fossi nascosta per tutta la mia vita solo per scappare dai soprusi del mio fratellastro; come, con il mio ritorno, cercassi di ridare stabilità al Regno.

Royal Thief IIIWhere stories live. Discover now