CAPITOLO 193

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Il silenzio era opprimente.

A contrapporsi, tra me e Gideon, c'era solo lo zampillare della fontana.

In lontananza, una foglia cadde.
Il suo delicato movimento un sussurro nel buio.

«Mi hai chiamata.» Dissi, l'assenza di suoni troppo asfissiante da sopportare. «Cosa vuoi dirmi?»

L'aria pesante.
Le parole una lama tagliente. 

Tra noi due non c'era più spazio per discussioni inutili.

Ma qualunque argomento Gideon avesse voluto affrontare, prima avrebbe cominciato a parlare e prima avrebbe finito.

Volevo uscire da quella serra.
Volevo allontanarmi da lui.

Mi morsi la lingua pur di ignorare il vero motivo di quel mio ripudio.

Perché sapevo ci fosse qualcosa.
Qualcosa che non volevo ammettere neppure a me stessa.

La paura.

Ma non di lui.
Di me stessa.

Paura che la mia determinazione potesse crollare.
Paura che potessi diventare di nuovo fragile e soccombere ai sentimenti.
Paura che potessi venire ferita ancora una volta se avessi mostrato anche solo una scintilla di empatia.

Allora sarei tornata ad essere vulnerabile.

«Non ti perdonerò mai.» Dissi con fermezza. «Se è questo ciò di cui vuoi discutere.»

Ma quelle parole, più che per Gideon, erano per me.
Per ricordarmi che mi avesse tradita.
Per ricordarmi di non vacillare.
Per ricordami la promessa che mi ero fatta.

Quelle parole erano un monito costante, un muro protettivo che avevo eretto intorno a me per tenere lontani ricordi e sentimenti che volevo ignorare.

Perché il passato che mi aveva fatto soffrire e che mi annebbiava la vista, era quello stesso passato che, in sé, conteneva anche dei momenti di genuina felicità condivisi insieme.

«Non mi importa che pensassi di farlo per il mio bene.» Le mie parole, un'armatura di ghiaccio.

Gideon scosse la testa. «Volevo solo dirti che ti capisco.» Le sue parole, una tiepida fiamma.

Lenta, tentava di corrodere la mia corazza.

«Quello che ha detto mia madre...» Incerto, cercò le parole giuste. «Sappi che io non lo penso, so che non sei così.»

Così.
Come mio fratello.

Il risuono, che quella frase ebbe dentro di me, fu più invadente della voce di Gideon nella mia testa.

E così come una goccia scivolò dai capelli bagnati del Kelpie, anche la mia armatura iniziò a sudare.

«Ti avrei seguita.» Ammise. «Lo avrei fatto in ogni caso.»

Gideon mosse un passo verso di me.
Arretrai, riguadagnando la distanza che avevo perso.

«Starò alle tue condizioni. Accetterò i tuoi compromessi, se è questo ciò che vuoi.»

Il fuoco era pericoloso, e quella piccola fiamma era diventata un focolare. 

«Perché so che le mie sole parole non valgono più nulla per te.»

I nostri sguardi si incrociarono.

Nella penombra della serra, i suoi occhi erano illuminati da una luce di vulnerabilità.
Eppure raramente li avevo visti così fermi.

Inspirare risultò difficile.

Il ghiaccio dell'armatura aveva impregnato i vestiti, e ora dilatare i polmoni sembrava difficile.

«Non scamperai alla tua punizione.» Esalai. «Indosserai di nuovo la catena.»

La vicinanza al fuoco mi faceva bruciare gli occhi e il fumo stava rendendo il mio respiro più irregolare.

Gideon, fiacco, si sedette sul bordo della fontana.
Gli schizzi che lo raggiungevano sembravano sparire a contatto con il suo corpo.

«Sai che i Kelpie possono innamorarsi solo una volta?»

Sussultai a quella sua improvvisa confessione.

«I Kelpie non amano, è per questo che rimangono soli.» Ricordai i miei studi sotto la guida di Thui.

Era stato in quei mesi trascorsi nella sua Tribù che avevo scoperto quante cose, su quegli esseri dell'Altro Sole, non conoscessi ancora.

Come fossero solitari.
Come si uccidessero a vicenda.
Come combattessero battaglie altrui per noia.

Come non fossero capaci di amare neanche la propria progenie.
Come l'unico sentimento che conoscessero fosse l'ossessione.

Prima di leggerle nei libri, non ne sapevo nulla.
Quante cose Gideon mi aveva tenute nascoste senza che io neanche lo realizzassi?

Lo osservai.

Così piegato su se stesso, la luce lunare illuminava solo la sua schiena ricurva.

Attraverso il tessuto umido della camicia bianca si intravedevano le vertebre.
Quando era diventato così magro?

«I Kelpie scelgono di non amare, è per questo che rimaniamo soli.» Fissava un punto indefinito del suolo tra i suoi piedi. «Se non conosci il significato dello stare in compagnia, la solitudine fa meno male.»

Quando sollevò il capo, un sorriso amaro gli solcava il volto.

Era bastata una scintilla di quel focolare per far dilagare un incendio.
Sotto tutto quel calore, il cricchio dell'armatura segnalò come non avrebbe resistito a lungo.

Come non avrei resistito a lungo.

«Cosa vuoi dire?» Sentivo il volto bruciare.

Volevo arretrare.
Volevo scappare.

Ma non lo feci.

«Sai anche tu quanto prezioso sia ogni minuto.»

«Il mio destino, il mio corpo, il mio tutto... io ero legato a te ancor prima di incontrarti.» Gideon si alzò in piedi e le fiamme si fecero più alte.

«E dopo averti incontrato lo sono stato per sempre.» 

Un pezzo dell'armatura cadde. 

«Non mi importa se mi incatenerai di nuovo.»

Un altro pezzo. 

«Con o senza quei ferri al collo non riuscirò mai più a sentirmi libero.»

Mi voltai verso l'uscita della serra.

Non avevo più nulla da aggiungere.
Dovevo solo andarmene da quel luogo.

Mossi un passo.

«Lyra!»

Sentii le sue labbra chiamare il mio nome ancora un altra volta.
Mi chiesi se sarebbe stata l'ultima.

Non mi voltai.

«Grazie per avermi voluto dedicare i tuoi preziosi minuti.»

L'armatura cedette e anche l'ultimo pezzo cadde al suolo.

E così come il ghiaccio si scioglieva, goccia dopo goccia, impregnando il terreno, una lacrima solitaria e silenziosa mi bagnò il volto.

Royal Thief IIIWhere stories live. Discover now