CAPITOLO 197

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Persi il conto dei secondi che passai in quella posizione.
O forse erano minuti.

Tremante, potevo solo inspirare ed espirare.

Sopra il mio capo, solo il gelo.

«Rimarrò sempre al tuo fianco.» Le ultime parole di Rubyo riecheggiarono nella mia mente.

E, in quel momento, fu come se una coperta di calore mi avesse avvolto la schiena.

Sollevai la testa.
Gli occhi di nuovo puntati verso Markus perso nella sua illusione.

Cosa stavo facendo?

Rubyo.
Gideon.
Degorio.

Stavano tutti combattendo, rischiando la vita per farmi guadagnare del tempo, per darmi modo di uccidere Markus.

E io?
Io stavo esitando.
Messa in ginocchio dalla paura.

Mi sollevai e il freddo parve più tagliente di prima.

I passi da incerti divennero sempre più sicuri.
Le falcate sempre più ampie.

E più avanzavo, più il mio presentimento diventava una certezza: quel miraggio, quell'illusione... Markus non ne era l'artefice.

Al contrario, lui era la vittima.
Vittima, di quel lato da essere dell'Altro Sole che, giorno dopo giorno, aveva iniziato a prendere il sopravvento, consumando quel po' di umanità rimasta in lui.

Mi fermai solo quando fu a pochi metri da lui.

Ero lì, davanti a lui.
E lui era lì, davanti a me.

Fragile e indifeso come mai prima d'ora.

Ucciderlo sarebbe stato così facile.

Se solo avessi avuto la spada di mio padre.
Se solo non fossi stata costretta a rompere quell'illusione.

Dopo tutti gli anni di sofferenze, dopo tutti gli anni passati a scappare, allenarmi, combattere... dopo tutte quelle difficoltà, perfino quell'ultimo momento che mi separava dalla libertà doveva essere così dannatamente difficile.

Volevo gridare.
Questa volta, non per la paura, ma per la frustrazione.

Ero stanca.
Volevo solo riposare, chiudere gli occhi e non pensare a nulla.

Non pensare a chi fingersi l'indomani.
Non pensare a dove dormire per non farsi scoprire.
Non pensare a come sopravvivere.

Perché sopravvivere, vivere, doveva essere una cosa scontata.

Eppure non lo era mai stato per me.
Per Rubyo.

E ora, per riavere indietro la mia vita, la mia pace, le soluzioni erano solo due.

La mia morte.
O la morte di Markus.

Estrassi il pugnale dal fodero.
L'elsa che mi scavava nella carne.

Guardai mio fratello.
Guardai la statua di ghiaccio tra le sue ginocchia.

Quel giorno a morire non sarei stata io.

Conficcai la lama nel fantoccio e quella sagoma che tanto mi assomigliava esplose.

Ignorai le grida di Markus, ignorai le schegge che mi tagliarono la pelle.
Ignorai il dolore, l'illusione che stava svanendo intorno a me.

Ed estrassi la boccettina in vetro.
La stappai.

Il cuore in gola.
I polmoni vuoti.

Ero vicina.
Così vicina.

E bastò un istante, uno soltanto, a svuotare il contenuto nella bocca aperta di Markus.

Poi il buio.

Royal Thief IIIWhere stories live. Discover now