CAPITOLO 199

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Boccheggiai per il dolore.
Il mio corpo un'ombra, incapace di rispondere ai comandi della mia volontà.

Le orecchie fischiavano e i polmoni sembravano incapaci di riempirsi d'aria.

Aprii gli occhi, ma la vista era annebbiata.
Dalla polvere.
Dal fumo.
Dal fuoco.

Mi ci volle qualche secondo per realizzare ciò che mi circondasse, ma preferii non averlo mai fatto.

Del palazzo reale erano rimaste solo macerie.

Il posto, che un tempo avevo abitato ma che mai avevo definito casa, si era appena trasformato in un'arena di caos e distruzione.

Le fiamme crepitavano tra la polvere e le macerie come i fuochi fatui di tutte le persone che avessero perso la vita a causa mia. 

Tossii.

Una volte.
Due volte.

La mia gola, dolente, cercava di liberarsi da aridità e bruciore.

«Rubyo!» Gridai, la voce spezzata dall'angoscia, lo sguardo inquisitore all'orizzonte.

A rispondermi fu il silenzio, interrotto solo dal suono dei miei singhiozzi alternati allo screpitare delle fiamme.

«Ru-» Un altro attacco di tosse mi impedì di chiamarlo.

Ma sapevo di non potermene stare con le mani in mano.
Dovevo trovalo.

Lui.
O il suo corpo.

Tentai di sollevarmi, ma un'agonizzante fitta di dolore mi costrinse a terra.

Rivolsi lo sguardo verso il piede.

Era incastrato sotto delle macerie.
Bloccato tra frammenti che una volta costituivano una parete.

«Merda!» Imprecai, allungandomi verso l'arto intrappolato.

«Ti prego!» Piangevo. «Ti prego!» Ripetevo, mentre cercavo di liberare il piede facendo forza con braccia e gambe.

Contorsi il busto, torsi il dorso nel tentativo di guardarmi alle spalle, ma tra quel fuoco, tra quelle macerie e quel fumo, non c'era alcun segno del ciuffo castano a me così familiare. 

Le lacrime, fredde a contatto con la mia pelle accaldata, mi rigavano il volto lavando via la cenere. 

Il dolore fisico annichilito dall'idea di averlo perso.

Poi la terra tremò.

Qualcosa, che la mia vista perferica non era riuscita a cogliere, si era mosso alle mie spalle.

E così come il mio cuore si appesantiva, sentii la morsa attorno al piede allentarsi.

Con sorpresa, notai come la scossa mi avesse liberato l'arto.
Lo ritrassi velocemente dall'insenatura.

All'emozione di sollievo si era unita quella dell'inquietudine.

Mi voltai.
Il cuore in gola.

Dovevo trovare Rubyo, dovevo capire chi o cosa avesse causato quel movimento della terra che già una volta, in passato, avevo avuto modo di conoscere.

E le mie paure trovarono la loro conferma quando i miei occhi videro due pilastri di roccia e lava avanzare tra alberi e detriti, schiacciando e fondendo qualsiasi cosa si parasse sul percorso. 

Quello scenario.
Quelle dimensioni colossali.

Era tutto come sull'isola d'Estate. 

Dollarus nella sua maestosa forma di titano di lava.

Royal Thief IIIWhere stories live. Discover now