7. 𝑰𝒏 𝒏𝒐𝒎𝒆 𝒅𝒆𝒍 𝑷𝒂𝒅𝒓𝒆

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Victoria

𝘝𝘰𝘭𝘦𝘷𝘰 𝘶𝘳𝘭𝘢𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘦𝘯𝘵𝘪𝘷𝘰
𝘮𝘢 𝘴𝘰𝘯𝘰 𝘳𝘪𝘮𝘢𝘴𝘵𝘰 𝘻𝘪𝘵𝘵𝘰
𝘱𝘦𝘳 𝘱𝘢𝘶𝘳𝘢 𝘥𝘪 𝘯𝘰𝘯 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦 𝘤𝘢𝘱𝘪𝘵𝘰.
𝒞𝒽𝒶𝓇𝓁ℯ𝓈 ℬ𝓊𝓀ℴ𝓌𝓈𝓀𝒾

Arrivammo in silenzio.
Ero dispiaciuta per come mi ero rivolta a Damiano, avevo riversato su di lui tutta la sofferenza. Gli avevo detto cose che avrei preferito tenere private, ma era colpa sua.
Lui che cercava sempre di entrare, di sfondare quella maledetta porta che avevo serrato e blindato per restare al sicuro.
Colpa sua perchè era stato a letto con me, perché aveva quel maledetto sorriso e gli occhi con la mia stessa malinconia.
Fu quando mi voltai che venni fermata dal contatto scottante delle sue mani.
Damiano mi teneva salda per il polso.
Gli rivolsi nuovamente attenzione, esitò pensando che forse non l'avrei ascoltato, scelse poi di parlare e non farmi perdere tempo.
<<hai detto ai tuoi che andremo in America?>>
Eravamo così diversi...
Damiano poteva vedere tutti i giorni lo sguardo di colei che gli aveva donato la vita. Io no e non avrei potuto più.
Lui aveva ancora un sogno da coltivare, qualcosa in cui credere e un sacco di partite da vincere.
<<no, può...può darsi che lo farò oggi>>
<<stai cambiando idea?>>chiese
Abbassai lo sguardo esitante.
cosa stavo facendo?
<<Non mi piace il basket, non sono interessata ai giocatori ne alla fama o ai soldi. Qua ho una vita, degli amici e la mia famiglia. Studio, lavoro... tutte cose che facevo anche prima di conoscere te. Ma sai perché verrò comunque?>> domandai e scosse la testa.
<<Qui ho tutto, eppure... non ho niente da perdere>>
Mi strinsi di più nella giacca, iniziava a fare freddo ed io ero già in ritardo di un ora come minimo.
<<Devo andare ora. Ci vediamo quando avrai davvero voglia di fare qualcosa che possa portarti in alto col tuo sogno. Saper comunicare è una cosa abbastanza utile non credi?>>
Aprii il portone ridendo.
<<posso salire?>> chiese esitante.
In quella casa c'erano troppi ricordi.
C'era troppo del mio passato, della persona che ero, colei che era svanita insieme alla mamma.
<<no>>
<<vic io vorrei aiutarti a dare la notizia a..>>
<<ce la faccio da sola non ti preoccupare. Ci vediamo mercoledì prossimo>>
Entrai senza girarmi.
Una volta arrivata in casa salutai nica, col fatto che non vivevo lí non ci vediamo spesso.
<<l'altro giorno sono stata ad una festa a Trastevere, pensavo venissi anche tu>>disse.
Parlava del più e del meno. Mi raccontava delle sue ultime settimane ma io avevo solo una persona in testa.
Non avevo ascoltato una parola, non ci riuscivo, pensavo a Damiano.
Alle sue labbra sulle mie, il suo profumo addosso, lui dentro di me, sopra, sotto.
Lo sentivo ovunque, lo volevo ovunque, ancora.
<<victoria, cos'ho detto?>>
<<scusa non prestavo attenzione>>
<<l'ho notato, che ti passa per la testa?>>
<<ho molte cose a cui pensare>>
<<tipo?>>
In quel momento papà entrò in casa con una bottiglia di champagne in una mano e la sua cartellina da lavoro nell'altra.
Deviando il discorso feci si che entrambi mi ascoltassero.
<<bene! ora che siamo qui tutti, vi comunico che...>>mi preparai a dirlo ad alta voce, di nuovo <<Mi trasferisco in America a gennaio.>>
Mio padre fece cadere terra la cartellina ed il telefono.
Nica rimase stupita a guardarmi come se avesse capito male.
<<tu...cosa?>> domandò quest'ultima.
<<due settimane fa circa mi è stata fatta una proposta di lavoro come "segretaria", se così possiamo dire, di un giocatore di basket. Lui si trasferirà in America ed io ho accettato ad andare con lui>>
<<l'università?>> papà intervenne
<<la continuerò là, l'American University ha una sede a New York e noi staremo proprio nella grande mela>>
<<vic ma perché?>>
<<perché voglio un nuovo inizio papà, una nuova chance di cominciare.>>
<<ma di cosa parli quale nuova chance?? Stai partendo alla sprovvista con uno sconosciuto Victoria!!!>>
Mio padre era su tutte le furie, talmente sconcertato da non riuscire a capire da cosa fosse partita questa decisione. Non vedeva oltre il suo naso eppure la risposta stava lì di fronte a lui. Non ero felice.
<<ho ventidue anni e posso decidere da sola cosa fare della mia vita per lo più non ho bisogno del tuo consenso. A gennaio parto, spero che un po' capirai...>>
Feci per riprendere la giacca ed andarmene ma mi chiuse la porta in faccia appena l'aprii.
<<tua madre è morta!!!>> urlò.
Mi si gelò il sangue nelle vene. Il mondo sembrò perdere il suo asse e cadde a precipizio.
La vista andava offuscandosi, le dita presero a tremare ancora serrate sulla maniglia.
Trattenni il fiato e così anche Nica.
<<vostra madre è morta e non tornerà vic, nessuno e niente la farà tornare. Andartene di casa per non stare vicino a ciò che te la ricorda non farà svanire il dolore. Non smetterai di soffrire...mai. Lei voleva tanto per le sue figlie, voleva tanto per te. Dovresti essere su un palco a quest'ora, non su un aereo diretto dall'altra parte del mondo.>>
Fu dura ascoltare quelle parole, sentirle penetrarmi nell'anima ed affondare ancor di più il coltello nella piaga. Fu altrettanto dura andarmene senza voltarmi. Non sarei riuscita a tenermi a galla, non più e non ora che la ferita sanguinava ininterrottamente, ogni giorno.
Soprattutto se non sentivo nulla.
Tornata a casa dovetti fare i conti con la scia dei ricordi che aveva riesumato mio padre con il suo desiderio di parlarmi a bruciapelo.
Mamma era l'argomento tabù della casa, di lei non si parlava. Non perché ce ne fossimo dimenticati ma perché costudivamo la sua aura di felicità per i nostri cuori oramai troppo devastati dalla sua assenza. Parlarne lo rendeva solo ancora più reale di quanto già non fosse e non ce n'era bisogno.

<<Mamma! mamma! Senti come suono bene!!!>> ero felicissima, a scuola ci avevano insegnato una nuova canzone.
<<la mia piccola rockstar>>disse guardandomi commossa.

<<mamma, posso uscire stasera?>> chiesi.
A dieci anni mi reputavo abbastanza grande per uscire con le mie amiche dopo scuola.
<<no vic oggi non posso correre da te se succede qualcosa, ho da portare Nica a danza>>
<<ma.... Mamma ti prego!>> mi aggrappai alla sua giaccia e la tirai per farla desistere.
<<De Angelis Victoria, ho detto no.>>
<< TI ODIO!>>

'Non ti ho mai odiata mamma' pensai facendo riferimento a quel momento d'infanzia. Non potevo odiarla, lei che mi scaldava col suo sorriso, che riempiva ogni mia giornata con nuove avventure. Quel pomeriggio, quando tornò con mia sorella dal suo corso di danza, andammo insieme a prendere una macchina per il gelato e ci mettemmo a farlo. Non eravamo affatto brave, sporcammo tutta la cucina e papà tornato dal lavoro rise tantissimo vedendoci tutte imbrattate. Eravamo una famiglia perfetta, di quelle che si vedono nei film di Natale e che chiedono ai passanti di scattargli una foto per immortalare il momento.
Io tutto quello l'ho perso ed ora sono una lastra di ghiaccio, fredda al punto giusto.
Anche se ora qualcuno sta cambiando le cose.

ᴛʜᴇ ʟᴏɴᴇʟɪᴇsᴛ |damoria|Where stories live. Discover now