25. 𝑰𝒍 𝒔𝒐𝒍𝒆 𝒊𝒍𝒍𝒖𝒎𝒊𝒏𝒂 𝒍𝒆 𝒅𝒆𝒃𝒐𝒍𝒆𝒛𝒛𝒆

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QUESTO CAPITOLO PARLA IN MODO
ESPLICITO DI EPISODI DEPRESSIVI
E PENSIERI AUTODISTRUTTIVI.
CONSIGLIO UNA LETTURA CONSAPEVOLE.

Victoria

𝘕𝘰𝘯 𝘤'𝘦̀ 𝘧𝘰𝘳𝘻𝘢 𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢
𝘥𝘦𝘣𝘰𝘭𝘦𝘻𝘻𝘢.
𝒜𝓊𝓇ℴ𝓇𝒶𝓃ℯ𝓈𝓀𝒾𝓃

Nel lontano 1969 una psichiatra Svizzera definì quelle che sono le più comuni fasi che si vivono prima di accettare un lutto ed io le avevo analizzate tutte con la mia psicologa.
La prima, nonché più conosciuta, è la negazione che però non avevo mai provato, ero anzi piuttosto consapevole del fatto che mia madre era volata in cielo e che di lei mi rimanevano solo ricordi che sarebbero sfocati a lungo andare nel corso della vita.
Passai direttamente alla seconda: la rabbia che solitamente, il soggetto in questione, riversava su se stesso e sulla cattiveria dell'universo, ponendosi domande come: "perché proprio a me" e così via.
Nel mio caso, era rivolta contro gli edifici sanitari pubblici, io detestavo i medici e gli ospedali in tutto il loro essere inutili. Qualche mese dopo la morte della mamma, io non volevo sentire parlare di nulla che riguardasse pazienti o familiari da andare a trovare. Capitò che un giorno, in seguito ad un attacco d'ansia piuttosto forte, svenni nella doccia mentre ero a casa da sola. Mio padre tornò dal lavoro qualche ora dopo e mi ritrovò a terra, decise di portarmi in ospedale, era piuttosto ipocondriaco da quando sua moglie venne a mancare, non seppe però che fu la cosa più sbagliata che potesse fare. Quando mi risvegliai e notai il luogo in cui mi trovavo diedi di matto. Strappai ogni ago che era venuto a contatto con la mia pelle, urlai fino a non avere fiato nei polmoni, volevo andare via tanto che corsi con le lacrime agli occhi per ogni corridoio in cerca dell'uscita. Papà era spaventato a morte e per il resto di quella settimana, ad ogni pausa pranzo che gli era concessa, tornava a casa per controllare che stessi bene. In seguito mi invitò ad andare da una psicologa per parlare di ciò che mi era passato per la testa in quel momento, dal primo incontro che feci non smisi mai di andare. Una volta a settimana mi recavo da lei ed insieme analizzavamo le mie emozioni, mi aiutava a capire quello di cui la mia mente aveva bisogno. Arrivammo così alla conclusione che la mia non era stata paura, quanto più: odio.
Dopo la rabbia ci fu la contrattazione. Passavo intere giornate a chiedermi che cosa sarebbe successo se la mamma non si fosse ammalata, avevo sperato che la destinataria di quel cancro fossi stata io e così, inconsciamente, entrai anche nella quarta fase: la depressione.
Dalla depressione io non ero mai uscita. Si tende erroneamente a pensare che una persona depressa sia costantemente a letto, che escluda per se la possibilità di essere felice in seguito ad un avvenimento che aveva portato nella vita un carico di dolore troppo grande da smaltire. Nel mio caso ero affetta da episodi depressivi, c'erano giorni in cui il solo pensare di vedere qualcuno mi faceva piangere. C'erano momenti in cui mi perdevo a guadare fuori dalla finestra e pensavo a quante ossa mi si sarebbero rotte se fossi caduta dal terzo piano. C'erano secondi in cui, della stessa finestra, esaminavo il vetro e immaginavo quanto dovesse essere affilato per riuscire a lacerare le ossa della cassa toracica prima di arrivare al cuore. C'erano minuti in cui fissavo il soffitto e speravo che mi cadesse addosso poiché di sicuro non sarebbe stato più pesante di ciò che mi opprimeva il petto. Era così che ogni volta iniziavo a perdere intere settimane sul divano di casa, non mi alzavo per andare in bagno ne per mangiare, non suonavo con Thomas quando rientrava a casa la sera, non lo ascoltavo se mi parlava. Quelli erano gli episodi più difficili, il mio migliore amico provava timore per me, chiamava sempre mia sorella che puntualmente ci raggiungeva per portarmi a letto e convincermi a ingerire qualcosa. Odiavo la situazione, volevo essere felice ma non riuscivo, io non ero quella; io amavo stare tra gli amici, divertirmi la sera e ringraziare il sole che ad ogni mattina mi dava la possibilità di ricominciare eppure non ce la facevo perché anche se provavo ad essere spensierata c'era l'attacco di panico dietro l'angolo pronto a vanificare tutti gli sforzi che avevo fatto. Quello stesso sole che mi illudeva di una seconda chance, illuminava le mie debolezze quando camminavo fra la gente.
"Voglio vederti brillare vic" aveva detto la mamma sette anni fa, prima di chiudere gli occhi.
Però l'avevo delusa, non avrei mai raggiunto un palco.
Papà aveva ragione, dovevo accettare che lei non c'era e che non sarebbe tornata.

Quella sera arrivai a casa tardi a causa di tutte le ore di volo che avevo fatto per tornare a Roma. Penso fosse il quinto aereo della settimana.
Credevo che Thomas stesse già dormendo ed in ogni caso non avevo voglia di parlare con nessuno perciò chiamai un taxi. Invece, quando aprii la porta, lo trovai sul divano con Lavinia a guadare un film d'azione.
<<vic? Che ci fai tu qui?>> era entusiasta, solo lui..
<<riprendo in mano la mia vita>> ammisi lasciando la borsa sulla valigia.
<<e Damiano?>> Si appunto, Damiano?
<<domani ti spiegherò, continuate a guadare il film voi, io vado a riposare>>
Prima che entrassi in camera Thom afferrò il mio polso e con tono di chi sa mi domandò se stessi bene.
<<non lo so fettuccina... non lo so>>
<<vuoi venire di la con noi? A Lavi non dà fastidio lo sai>>
<<nono, non... non mi va>>
<<vic...>>
<<é solo...>> mi interruppi a causa del nodo che mi si stava formando alla gola <<credo che sarà un periodo difficile per un po'>>
Capì subito e non ne fu felice, ma mi sarebbe stato accanto perché era chiaro che quella volta volevo chiedere aiuto.

ᴛʜᴇ ʟᴏɴᴇʟɪᴇsᴛ |damoria|Where stories live. Discover now