CAPITOLO 24

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VICTORIA

«Vorresti davvero che ti insegnassi a suonare» rimase molto sorpreso, ascoltando la mia richiesta di voler imparare il pianoforte.

«Tu sei bravissimo ed è una cosa che ho sempre sognato sin da bambina» sorrisi, toccando qualche tasto senza far combaciare nessuna nota tra loro.

«Sono un professore molto esigente» trattenne una risata, portando il braccio dietro la mia schiena e adagiando quella mano sulla tastiera. Ero completamente stretta a lui e mi limitai a sorridere impacciata. «Non durerai nemmeno mezzo minuto.»

«Fossi in te non ne sarei così sicuro» cercai di mantenere la calma benché dentro di me stessi morendo. Faceva troppo caldo qui dentro. «Quando voglio ottenere qualcosa faccio di tutto per raggiungere il mio obiettivo.»

«Poggia la mano accanto alla mia» enunciò profondamente, non smettendo di guardarmi. Senza smetterlo di guardarlo ascoltai la sua richiesta, sbagliando. Il mio palmo toccò il dorso della sua mano, facendolo istintivamente sorridere. «Accanto, Victoria. Non sopra.»

Ritirai il braccio con fretta, risistemandola proprio ordinato da lui. Distolse quello sguardo fin troppo penetrabile da me e iniziò a spiegarmi qualcosa. «Questo è il Do» premette il tasto bianco «Poi a susseguirsi abbiamo il Re, il Mi, il Fa, il Sol, il La e infine il Si» fece lo stesso anche con le altre note.

«A cosa servono i tasti neri?» chiesi, ignorantemente.

«Quelli neri introducono delle alterazioni alle note citate prima e che prendono il nome di diesis e bemolle» spiegò, facendomi un esempio di ciò che aveva appena detto «L'accordo, invece, è una triade, cioè un insieme di tre suoni disposti a un intervallo di terza l'uno dall'altra. Questo, ad esempio, è l'accordo Do. Mignolo della mano sinistra sulla nota appena detta, medio sul Mi e pollice sul Sol» abbassò tre note contemporaneamente.

Provai a suonare qualcosa, sbagliando parecchie note e sentendo la sua risata risuonarmi vicino all'orecchio. Il mio corpo continuava a rimanere stretto al suo, diventando un fuoco ardente. Mi parlava ma, nonostante fosse accanto a me, sentivo la sua voce diventare sempre più distante. Continuava a spiegare ma io stavo prestando attenzione solo a lui e non più al pianoforte.

Si accorse che non stessi minimamente ascoltando e mi sollevò il mento con due dita. «Non imparerai mai a suonare se continui a guardare tutto il tempo me» mi sussurrò, facendomi tremare sotto i suoi occhi glaciali.

Era sbagliato, un grandissimo errore che non potevo fare. Ma quando i miei occhi puntarono le sue labbra carnose ogni sicurezza e imposizione che mi ero fissata, venne messa da parte. Lasciai che quel vortice mi risucchiasse, rendendomi fin troppo irrazionale.

Circondata ancora dalle sue braccia lasciai che fosse il mio corpo a parlare. Mi sporsi verso di lui inclinando il capo di poco e feci scontrare le nostre labbra con passione. Gli toccai il viso, percependo il suo respiro sempre più pesante e unirsi al mio già flebile.

Quella bocca era pura poesia.

«Scusa, aspetta» mi staccai da lui, alzandomi e portando una mano sulle labbra «Non avrei dovuto, perdonami» farfugliavo in panico e impaurita di quale potesse essere la sua reazione. Avevo esagerato e non riuscivo a capire la sua espressione e quello che stesse pensando.

Rimase zitto, passandosi la punta della lingua sul labbro e inferiore, e avvicinandosi prontamente a me. Trattenni il respiro appena le sue mani si poggiarono sopra i miei fianchi. Li strinse con passione e mi ribaciò facendo scontrare le nostre lingue con veemenza. Ormai non stavo capendo più niente.

«Dovevi, invece» bisbigliò tra un bacio e un altro. I nostri sapori uniti mi mandarono in paradiso. Le bocche danzarono in simbiosi un ballo che non avrei mai voluto far finire. Circondai il suo collo con tutte e due le mani e lo avvicinai il più possibile a me.

Anima di GhiaccioWhere stories live. Discover now