CAPITOLO 27

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RICHARD

Rileggevo il messaggio di mio padre da quando avevo lasciato Victoria a casa. Raramente ci sentivamo al telefono ma, se aveva ben pensato di contattarmi, significava solo una cosa. Probabilmente, tutti i problemi che erano insorti dopo la nostra ultima chiacchierata stavano realmente arrivando.

Papà: Ti aspetto in ufficio.

Che i giochi abbiano inizio.

«Perché sei sorpreso di quello che ti ho appena detto?» mantenne una voce così calma che mi fece imbestialire ancora di più «Avevamo già affrontato il discorso, Richard.»

«Ma ti avevo detto di non tenere mai in considerazione il suo ritorno in azienda» sbattei con colera le mani sulla scrivania, sentendo i palmi accaldarsi e pizzicare. «Anche se torna a New York, lei qui dentro non deve metterci assolutamente piede.»

«Non ti ho fatto venire in ufficio per prendere una decisione insieme ma solo per avvertirti della mia scelta» mi urlò alzandosi e puntandomi un dito sul petto.

«Prendere scelte non fa per te, Marcus» quest'uomo aveva smesso di essere mio padre.

In preda a un attacco di rabbia, tirai un calcio con violenza contro la sedia. Si avvicinò a me cercando di tirarmi ma mi scostai prepotentemente da lui con un fluido movimento.

«Mantieni la calma, Richard.»

«Fanculo» sputai acidamente. I nervi erano tesi, i pugni mi tremavano e il mio viso si fletteva con ripugnanza. «Complimenti per aver rovinato la nostra famiglia.»

Lasciai quella stanza sbattendo violentemente la porta. Ero arrabbiato, sentivo i miei occhi iniettati di sangue. Dovevo stare solo, altrimenti ogni mia azione avrebbe fatto del male a chiunque si trovava al mio fianco.

Non appena entrai nel mio ufficio, vidi Kylie alzarsi dalla sedia su cui accomodava. Cercai di scacciare via quella sensazione di ira incontenibile e mi ricordai di dover fare una cosa che avevo rimandato anche per fin troppo tempo.

Provò a baciarmi ma le sue labbra non finirono sulla mia bocca. Mi guardò confusa, le avrei probabilmente spezzato il cuore, ma non potevo più stare insieme a lei. Specialmente dopo quello che era successo a Londra.

Tutta quella attrazione che provavo nei confronti di Victoria, non mi era mai capitato di sentirla per nessun'altra. Quella Fiamma si stava impadronendo di tutto il ghiaccio con cui ero solito vivere la mia vita.

«Mi stai lasciando, quindi» incrinò la voce non trasmettendo nessuna emozione e facendo una rapida pausa seguita da un sospiro «E sei stato con un'altra. Sei una merda, dovevo aspettarmelo. Speravo fossi cambiato un minimo. Ho sempre cercato di vedere del buono in te ma sono stata proprio una stupida a crederlo.»

Sapevo di essere comportato male con lei ma non ero pentito di tutto quello che era successo tra me e Victoria. Avrei dovuto portarle rispetto ma non ci ero riuscito. Ero ingiustificabile e ne ero molto consapevole. «Mi dispiace tanto» non riuscivo a trovare le parole giuste.

E se fossi io il problema?

*
VICTORIA

Continuai a ripetermi nella mente che tutto quello che volevo fare era solo per il mio bene. Lo studio del dottor Lopez era proprio davanti a me, qui dinanzi ai miei occhi. Attendevo ancora sulla soglia della porta, cercando di trovare tutto il coraggio di cui avevo effettivamente bisogno.

Dopo essere tornata da Londra, ero stata poco bene. I miei attacchi di panico erano diventati troppo frequenti. Soprattutto dopo che i miei genitori avevano provato a bussare alla porta di casa mia. Non era mai successo da quando mi ero trasferita.

Il mio rapporto con loro era inesistente.

La mia famiglia ero solamente io.

Entrai, percependo un forte odore di pulito nelle narici. Osservai ogni dettaglio tra i divanetti in pelle, le pareti unicamente bianche e delle piante grasse poste agli angoli della stanza. C'erano persino alcune riviste e uno spazio dedicato solamente ai bambini.

«Benvenuta» un ragazzo biondo alle mie spalle mi salutò, facendomi istintivamente avvicinare verso di lui. Sedeva dietro un bancone, scrutandomi sorridente.

«Oh, grazie» la mia gola aveva ben pensato di asciugarsi «Avrei un appuntamento con il dottor Lopez. Mi chiamo Victoria Morgan» conclusi, mentre lo guardavo - presupponendo fosse l'assistente - cercare il mio nome sul computer tra i prenotati.

«È libero di poterti ricevere» disse, indicandomi dove si trovasse esattamente.

Feci un passo, poi un altro ancora. Camminavo con il cuore che perdeva sempre più battiti. Dischiusi le labbra per prendere un grosso respiro e mi ritrovai con il pugno sollevato davanti la porta.

Volevo scappare, fuggire via da tutto e tutti.

Non pensai e lasciai che fosse il mio corpo a fare il resto. Bussai contro la porta, venendo accolta successivamente dal dottor Lopez. Si posizionò di lato e mi diede l'opportunità di entrare.

Fece un sorriso per tranquillizzare quella agitazione che aveva sicuramente notato. «Buongiorno, Victoria. Prego, accomodati pure» mi indicò una poltrona su cui sedere.

Prese gli occhiali da vista, indossandoli e prendendo un portablocco blu insieme ad una penna del medesimo colore. Scrisse qualcosa sui fogli e riportò lo sguardo su di me che non smettevo di muovere agitatamente il piede piantato sul pavimento.

«È un piacere conoscerti. Parlami un po' di te.»

In quel momento, era come se non sapessi chi fossi. Tutto ciò che riguardava la mia vita era stato cancellato in meno di un secondo. I miei occhi vagarono intorno a quello che mi circondava e percepivo le mure di questa stanza farsi sempre più strette.

Mi stavano soffocando.

Io mi sentivo asfissiare.

«Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno. Non ti metterò alcuna fretta, Victoria.»

Non mi era mai venuto facile parlare e odiavo farlo perché non mi piaceva essere troppo esposta agli occhi delle persone. Ma sapevo perfettamente che in questo caso, per ritornare a stare bene, avrei dovuto sforzarmi e trasmette come mi sentissi.

Ogni frase uscì da sola. Gli raccontai, impappinandomi alcune volte nelle parole, della mia vita e concludendo il discorso nominando entrambi i miei genitori.

La voce traballante mentre pronunciavo mamma e papà, mi aveva ingannata. Però solo grazie a questo, il dottor Lopez comprese facilmente il motivo della mia ansia. «Parlami meglio dei tuoi genitori» mi riferì.

«Ho vissuto con loro fino a qualche mese fa. Da bambina li vedevo poco a causa del lavoro e dei numerosi viaggi che facevano. Sono stati poco presenti. Passavo giornate intere con la nostra governante, la signora Vanessa, che oramai considero come una seconda mamma» dissi, pensando che forse era stata più mamma lei che davvero la mia «Più gli anni passavano e più il mio rapporto con loro si spezzava. I nostri veri problemi, però, sono arrivati quando dovevo decidere a quale corso universitario iscrivermi. I miei genitori volevano che scegliessi architettura nonostante sapessero che non fosse la facoltà adatta a me.»

«Di fronte a questa situazione molto complicata, come ti sei comportata?»

Toccai il mio anello ruotandolo con l'indice e il pollice «Ho preso la mia decisione. Ho seguito il cuore, facendo una facoltà che mi appassionasse. Mi sono sempre domandata il perché dovesse essere qualcun altro a prendere decisioni al posto mio.»

Finì di scrivere, togliendosi gli occhiali da vista.

«Vedo tanta fragilità dentro di ma, allo stesso tempo, moltissima forza. Hai tanta determinazione, Victoria. Questa tua qualità sarà fondamentale in questo percorso» si alzò, avvicinandosi alla scrivania «Vorrei che tornassi per una seconda seduta così da poter parlare ancora, va bene?»

«Sì, assolutamente sì» dissi. Non sarebbe stato per niente facile ma ero pronta a ritrovare la mia luce. Perché, proprio come mi disse una volta qualcuno, sarei stata capace di brillare anche da sola.

Anima di GhiaccioWhere stories live. Discover now