*1*

31 2 15
                                    

1979, gennaio.









“Wow, ragazzi, che spettacolo!”.

Ginger pensò subito che quel commento così diretto, preceduto da un lungo fischio, fosse rivolto a lei e solo dopo aver sollevato gli occhi scuri si rese conto che in realtà era indirizzato all’oggetto che stringeva tra le mani; a pronunciarlo era stato un giovane che, senza prima chiederle il permesso, aveva già occupato il posto libero alla sua sinistra e non riusciva a staccare gli occhi dal fantomatico oggetto che aveva catalizzato completamente la sua attenzione: lo stava fissando con così tanta intensità ed ammirazione da avere perfino le labbra socchiuse.

La giovane si mosse a disagio e guardò il giovane, che non aveva più aperto bocca: non l’aveva mai visto prima, ma in un posto grande e dispersivo come gli Studi di registrazione di Abbey Road era pressoché impossibile conoscere tutte le persone che lavoravano lì dentro; la gente andava e veniva di frequente, quindi non era nemmeno da escludere che fosse uno nuovo.

“Ma è quello che penso io?” finalmente, con quella domanda, il giovane sconosciuto pose fine al silenzio che stava diventando sempre più imbarazzante, e con l’indice destro indicò l’oggetto di proprietà della rossa, che da qualche tempo era tornata al proprio colore originale di capelli; quelli di lui, invece, erano biondi e fini “è proprio un pezzo originale?”

“Si” rispose annuendo lei, sbloccandosi a sua volta “è proprio un pezzo originale”

“Accidenti” un altro lungo fischio, seguito questa volta dalle labbra fini che si piegarono in una smorfia “però non sembra affatto versare in buone condizioni”.

Ginger abbassò di nuovo lo sguardo, ed anche sulla sua bocca era apparsa una smorfia contrariata: l’oggetto in questione su cui stava lavorando era la prima macchinetta fotografica che la madre adottiva le aveva regalato, la sua preferita e la stessa che Roger aveva scagliato violentemente contro un muro solo per vendetta; era da tempo, ormai, che stava cercando di ripararla, ma ancora non era riuscita a fare un solo passo in avanti.

Al tempo stesso, però, non voleva arrendersi perché non aveva alcuna intenzione di separarsi da un oggetto con un valore affettivo così grande.

“No, affatto. Ha visto decisamente giorni migliori”

“Che le è successo?”

“Ohh, credimi: si tratta di una storia troppo lunga e complicata che non ho affatto voglia di raccontare, l’unica cosa che ti basta sapere è che non sono stata io. Sono troppo legata a questa macchinetta fotografica per pensare anche solo lontanamente di ridurla in queste condizioni. Ormai non so neppure più da quanto tempo sto provando a ripararla e sono ancora al punto di partenza”

“Hai provato a portarla da uno specializzato nel settore?”

“Scherzi? Credi che non ci abbia già pensato? È stata la prima cosa che ho provato a fare, ma tutti quelli da cui sono stata mi hanno chiesto delle cifre a dir poco assurde… Ecco perché sto provando a ripararla io”

“Capisco, e ti sei mai cimentata in qualcosa del genere?”

“No, finora mi sono occupata solo di piccoli guasti, ma, come ti ho già detto, sono molto legata a questa macchinetta fotografica e non ho alcuna intenzione di fermarmi fino a quando non sarò riuscita a riparla”

“Ci tieni così tanto?”

“Neppure puoi immaginare quanto sia importante per me”

“Capisco” ripeté una seconda volta il giovane sconosciuto, annuendo tra sé e sé “allora, se per te è così importante lascia che ci provi io”.

Empty Spaces; Pink FloydDove le storie prendono vita. Scoprilo ora