L'Orologio

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A differenza di molti, amavo le giornate di inizio estate, nonostate significasse sudare sotto al sole nel tragitto per arrivare a scuola, munirsi di fazzoletti ogni qual volta la pelle iniziava a brillare e lasciare quelle calde e comode felpe lì, nell'armadio, come sé avessero dei sentimenti e ti ripetessero in continuazione quanto male gli facesse il non poter essere utilizzate ancora creandoti uno strano senso di colpa.

Che poi, alla fine, lo sentivo solo io questo senso di colpa.

Mi trattenevo spesso in classe, dopo le lezioni, fantasticando sù dei mondi paralleli ai miei, mettendoci all'interno parte di quel che avevamo studiato in quel momento, mentre lasciavo che la mia penna facesse il solito movimento dal rumore simile a quello di un ticchettio tramite la mano che, ininterrottamente, lo ripeteva ancora e ancora sul banco.

Assomigliava a quello scoccare delle lancette dell'orologio che ogni singolo secondo si muovevano, senza sbagliare un colpo, e del quale ti accorgevi dell'esistenza solo quando le tue orecchie avrebbero voluto o, almeno, quando ti ci fermavi a pensare.

Appoggiai il braccio sinistro sul banco e la testa fra la mano del medesimo, fissando un punto indefinito e guardando, però davanti a me, quelle magiche luci, quelle estese foreste immerse nel verde e nei rami che davano solo un punto di contrasto in più, quei colori immensi e quasi inesistenti, lasciandomi travolgere da parole incomprese, versi di poesie dimenticate e immagini scattate in bianco e nero.

Mi piaceva prendermi in giro, sperando che un giorno quei sogni potessero diventare realtà, che quei mondi potessero prendere vita e, assieme a loro, anche i protagonisti ma allo stesso tempo mi piaceva prendere in giro il tempo che non avrebbe mai curato le ferite, non avrebbe mai aspettato me, non mi avrebbe mai lasciato vivere.

Per questo restavo fermo, guardando il sole che piano piano calava e concentrandomi a scrivere tutto quello che mi passava per la testa, affinché la notte mi avrebbe dato i consigli migliori, l'aria l'avrebbe resa più fresca e il mondo tanto più silenzioso quanto serviva alla mia testa.

Percorrendo le strade vuote e tranquille della mia città, arrivando davanti alla mia umile e misera casa, chiudendomi la porta dietro le spalle, tiravo un sospiro dopo l'altro ringraziando la stessa luna e le stesse stelle che mi avevano fatto compagnia come nessun'altro aveva mai fatto.

Mi stesi sul letto, aspettando che gli occhi si facessero pesanti e che il corpo si abituasse a quella morbida comodità che, dopo ore e ore, avevo nettamente meritato ma che durava sempre troppo poco.
Appena chiusi gli occhi mi resi conto di vedere davanti a me quello che immaginavo ogni giorno, di sentire sotto al naso un forte profumo simile a quello dei petali di rosa rossa che mi cadevano intorno come una pioggia delicata e non appena riuscivo a mettere a fuoco i due protagonisti, essi si avvicinavano per toccarsi ma ritornava il ticchettio dell'orologio, il mondo iniziava a muoversi sfuocato e ritornava tutto com'era sempre stato.

Gli occhi si riaprivano e il circolo continuava all'infinito.

-

"Jimin, ci sei?" V mi scosse, poggiandomi la mano sulla spalla, guardandomi con aria interrogativa

"Oh?" Scossi la testa velocemente, sbattendo le palpebre, guardandolo "cosa hai detto?"

Abbozzò una piccola risata, appoggiandosi per bene al suo banco, tenendo lo sguardo fisso sul mio
"Terra chiama Jimin, il tuo amico è qui da mezz'ora che ti sta parlando di cose abbastanza interessanti"

"Oh V" sbuffai ruotando gli occhi, staccando il contatto che si era creato fra noi "non ho mai detto che dici cose insensate, mi ero solo distratto un po', tutto qui"

"Mh... questa distrazione dura troppe volte al giorno, tutti i giorni da un po' di tempo ormai. Sei sicuro di star bene?"

"Sto benissimo V, non devi preoccuparti per me"

"Non dovrei? Ti comporti in modo strano, mi fai quasi paura certe volte, e non voglio essere all'oscuro di quel che ti sta capitando" sospirò avvicinandosi, tenendomi la mano fra le sue "voglio essere il tuo migliore amico non solo per avere qualcuno con cui uscire o stare insieme, ma anche per avere qualcuno con cui parlare. Mi capisci, Jiminie?"

Strinsi la mano fra le sue, annuendo lentamente, intenerendomi completamente per quei piccoli gesti
"Si V, lo sò" sorrisi abbassando lo sguardo "ti racconto sempre tutto e questa è la verità, giuro"

"Hai giurato, mh?" Sussurrò ridacchiando "ci conto" annuì alzandosi, lasciandomi un bacio sulla fronte prima di afferrare il suo zaino

"Stai andando via?" Mi schiarii la voce, guardandolo passo per passo

"Si Jiminie, sto andando. Per caso tu hai paura di stare da solo?" Ridacchiò scuotendo la testa

"Yah! Che dici, non ho mai paura di stare da solo io"

"Certo, come no, piccolo mochi" si avvicinò al mio viso tirandomi leggermente la guancia "tu devi restare, no?"

"Si...come sempre" sospirai

"D'accordo, allora a dopo Jiminie, abbi cura di te e mangia qualcosa" sorrise alzando la mano in segno di saluto e non appena fù ricambiato, uscii velocemente dall'aula ormai vuota.

Io e V c'eravamo conosciuti da piccoli, avevamo la stessa età ma vivevamo in due mondi totalmente differenti.
Lui sembrava essere uscito da un libro di fantascienza, uno surreale con dei personaggi descritti così meticolosamente bene da essere impossibili; il suo viso era stato scolpito alla perfezione da uno dei migliori artisti esistiti, il suo corpo era sempre stato asciutto e attento alla linea, il suo sorriso incantava tutti e aveva un carattere così tanto aperto e socievole da far cadere chiunque ai suoi piedi, con o contro il proprio volere.

Non avevo mai provato invidia verso di lui, anzi mi ripetevo tante volte al giorno quanto fossi stato fortunato ad essere scelto proprio io come suo migliore amico, ad aver avuto quella marcia in più che lui cercava in tutte le persone ma che aveva trovato solo in me.

Io e V abbiamo iniziato ad essere amici partendo da un suo semplice 'ciao' detto sotto la pioggia di un giorno di primavera e, a mano a mano, quella parola diventò sempre qualcosa in più, fino ad arrivare ad essere una bella amicizia; ma talvolta capitavano quei momenti in cui lui doveva tornare indietro, andarsene via e non rimaneva mai con me fino a quando ne avevo realmente bisogno.

Mi sentivo perso ogni volta che succedeva, iniziava a girarmi la testa, a farmi male lo stomaco e il tutto veniva sempre accompagnato da uno strano picco di sonno.
Era riconoscibile a vista d'occhio, a questo punto, quanto V fosse importante per me, vitale.

Non avevo la certezza di poter essere capito da qualcuno, non volevo essere capito da qualcuno ma ogni qualvolta si presentava ai miei occhi una scena simile, mi si riempiva il corpo di una strana sensazione ricollegabile alla sensazione di vuoto.
Ed era in quel momento che capivo che l'effetto stava piano piano svanendo e che di lì a poco avrei riaperto gli occhi.

Face// YoonminWhere stories live. Discover now