Lo Strano

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Il mio percorso scolastico fù breve, non ricordavo quasi nulla di quello che avevo fatto durante quelle giornate, ma ricordavo precisamente tutti gli sguardi e le paroline che vagavano fra quei lunghi corridoi infinitamente scuri.

L'essere strano era l'etichetta che più mi si addiceva in quel periodo, era quell'esatto aggettivo che utilizzavano tutti quelli che una spiegazione non se la sapevano dare o che non si interessavano a saperla realmente, per descrivermi senza indagare affondo.

Ero un ragazzino fragile, debole, uno di quelli che ti diverti a deridere perché ti dà modo per farlo, uno di quelli che in aula zittisci perché ti infastidisce la sua voce, uno che guardi male perché non puoi fare altrimenti.
Indossavo dei vestiti larghi, perché era il mio cervello a dirmelo, perché era il mio specchio a non vedersi dentro di me, tenevo dei cappelli in testa sia in estate che in inverno perché i miei capelli cadevano a ciocche ogni volta che, durante le mie crisi, li strappavo senza pietà, camminavo lentamente perché mi portavo dietro il mio ego che mi continuava a ripetere cosa dovevo fare, come dovevo farlo e perché.

Quel dito puntato che ogni singola persona mi girava contro, grosso quanto un ammasso di pietra, mi sembrava una pistola pronta a sparare un colpo che finiva sempre dietro la schiena bucandola peggio di uno scolapasta.

Facevo finta di non fregarmene di quelle azioni, di quei pettegolezzi, cercavo di maturare quanta più indifferenza possibile pur di sopravvivere ma alla fine ero solo un ragazzino, un dannato ragazzino che aveva bisogno di spensieratezza, di sorridere, di giocare e farsi male come un normale adolescente.

Quel che facevo ai capelli era una delle poche punizioni che mi infligevo, non era strano per me puntarmi la lama di un coltello contro le braccia per vederne uscire il sangue, non era strano farmi docce bollenti causandomi ustioni, talvolta anche gravi, sulla schiena e non era strano per me restare fermo immobile sul letto per giorni e giorni senza mai uscire, mangiare, bere o muovermi.

Lo strano della scuola si era lentamente traferito anche a casa poiché era lì che diedi vita a V, al migliore amico che vedevo in carne ed ossa, che mi teneva per mano e mi coccolava ogni volta ne avevo avuto bisogno, che mi assecondava ogni volta che vagavo con la mente; fù da lì che lo portai con me ovunque, che sia stato in classe o a tavola, al mare o in montagna, in famiglia o da solo. V era quella persona che mi faceva ridere, scherzare, mi aveva fatto innamorare e restare vivo per qualche minuto in più, finché quella pistola non sparò un'altro colpo secco, colpendomi al cuore.

-

"Posso parlare con il dottor Kim, perfavore?" Sussurrai appoggiando le mani lungo il bancone bianco che divideva me e la segretaria dell'ospedale

"Cosa devi fare con il dottore, adesso? È in visita, lo sai?" Alzò un sopracciglio tenendo lo sguardo fisso sulle sue innumerevoli cartelline da sistemare meticolosamente

"Si, lo so, volevo solo parlare con lui, ho bisogno di vederlo" mi schiarii al voce mordendomi le labbra.

La segretaria puntò lo sguardo verso il mio, meravigliandosi del fatto che per una volta avevo fatto io il primo passo presentandomi davanti a lei, uscendo allo scoperto dalla mia stanza non solo per obbligo. Mi rivolse un mezzo sorriso che cercò di nascondere, subito dopo, con una solidale freddezza, annuendo impassibile

"Aspettalo in sala d'attesa, davanti alla sua porta. Non fare casino e non rompere le scatole a nessuno" riprese con il suo lavoro, cercando di ignorare alla meglio il mio piccolo inchino di ringraziamento, voltando lo sguardo per seguirmi in tutto il percorso che stavo effettuando, lasciandomi non appena mi sedetti.

Avevo lo sguardo basso, le spalle strette e le mani incrociate che giocavano fra loro, ripetendomi all'infinito quello che avevo da dire al dottore.
Non avevo mai avuto tutto questo coraggio di compiere questo gesto ma sé volevo davvero uscire e vivere la mia vita, avrei dovuto risvegliarmi e prendere coraggio.

"Bene signori, vi aspetto per la prossima visita" sorrise il dottore uscendo assieme ad una famiglia, sorridente e visibilmente speranzosa

"Lei è un angelo dottore, la ringraziamo per tutto quello che sta facendo con nostra figlia" l'uomo della coppia aveva stretto le mani al dottore, come segno di gratitudine.

Il dottor Kim gli spiegó che tutto quello lo faceva perché nessuno meritava l'abbandono tantomeno durante le difficoltà e, dopo averli resi ancora più fieri della scelta che avevano fatto nell'affidarsi a lui, si salutarono con un inchino.
Non appena si vide da solo, spostò lo sguardo verso le sedie della sala d'aspetto, allargando gli occhi meravigliato, assicurandosi e sperando che quello che stava guardando non era un sogno.

"Jimin, che ci fai qui? Cosa succede?" Sussurrò avvivcinandosi velocemente, corrugando la fronte

"Ecco...io sono qui perché volevo parlare con lei" annuii cercando di attenere un tono di voce più normale e tranquillo possibile

"Jimin" sorrise annuendo "perfavore, vieni dentro" aprí la porta intimandomi di entrare, facendo lo stesso dopo di me chiudendosi la porta alle spalle "é un'emozione per me vederti qui. É strano vederti fuori per tua spontanea volontà, credo che sia davvero molto importante quello che devi dirmi, no? Ti ascolto".

Sospirai strofinando continuamente le mani sul jeans che indossavo, provando a mantenere la calma e, allo stesso tempo, lo sguardo dritto sul suo viso nonostante fosse tutto nuovo e difficile per me.
"Dottore, e-ecco...io ho deciso di non voler tornare a casa con i miei genitori, non ho bisogno del loro aiuto" annuii sicuro

"Mh, continua, ti ascolto"

"Ho paura di rivivere tutto quello che mi hanno fatto passare in tutti quegli anni, ho paura che mio fratello possa ancora guardarmi male o addirittura che possano scegliere un'altro ospedale dove rinchiudermi di nuovo" scossi la testa mordendomi le labbra "non sono in grado di ascoltare quel che sento io, ecco perché voglio che questo ospedale resti la mia casa"

"Jimin" sussurrò il dottore prendendo le mie mani, tenendole fra le sue "sono contento che tu mi abbia esposto una tua preoccupazione e che ti sia confidato con me, ciò vuol dire che ti fidi, è cosi?"

Annuii lentamente, senza esitazione

"Bene, e ho capito che sei intenzionato ad uscire, vuoi provare a vedere com'è questo modo ma non sai come fare, no?"

"Questo...non sò se può essere una buona idea ma mi piacerebbe provarci per un po' magari"

"Giusto, per questo ti ho proposto di venire a casa mia, Jimin. Forse sono giovane per predere il posto di un padre, ma lasciami essere un fratello maggiore per te, lasciami essere quello che ti aiuterà a vivere una vita normale come l'hai sempre voluta e cercata disperatamente. Non sto scherzando"

Mi morsi le labbra, curvando piano piano il mio broncio in un sorriso tremolante, mentre alcune lacrime calde iniziarono a cadere lungo il mio viso.
Nessuno aveva mai avuto una delicatezza tale da trattarmi in questo modo, da parlarmi in questo modo e quel primo passo verso questa sensazione mi provocò una scarica di emozioni che diede vita ad un pianto, un leggero pianto ma che non emettevo da molto tempo.

Era cosi che ci si sentiva vivi?

"Oh" sorrise spostandosi dal suo posto, appoggiandosi davanti a me sulla scrivania prendendomi il viso fra le mani asciugandomi lentamente le lacrime "ti avevo detto che avevi tutto il tempo per pensarci e-"

"Dottor Kim" lo interruppi annuendo lentamente "si, accetto la sua proposta"

Face// YoonminWhere stories live. Discover now