La Speranza

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All'età di cinque anni, i miei genitori decisero di ascoltare quella richiesta che tanto avevo voluto fosse esaudita, e finalmente mi regalarono la parte più fondamentale ed importante della mia vita: mio fratello Jihyun.
Descrivere il nostro rapporto sarebbe stato letteralmente impossibile perché era un qualcosa che dall'esterno non poteva essere visto ed era unico sentirlo solo dentro di noi.

Avevo talmente tanto desiderato il suo arrivo che me ne presi cura già da piccolo affinché potessi essere per lui una figura sul quale contare sempre, una roccia sul quale appoggiarsi e una spalla sù cui piangere.
Imparai, lentamente, a sentire le sue emozioni e provare le stesse cose nonostate fossimo di età differenti e nonostate avessimo bisogno di attenzioni differenti; quando era triste il mio senso di vuoto aumentava e avevo bisogno di stargli vicino per farlo passare, quando era felice valeva lo stesso per me e quando era stanco lo portavo a letto con me, addormentandoci assieme.

Pian piano che crescevamo, però, le cose prendevano una piega sempre più diversa e mi resi conto di essere stato io il primo a cambiare.
La mia malattia aveva iniziato ad espandersi e farsi vedere agli occhi di tutti senza vergogna e senza che nemmeno me ne rendessi conto, la mia salute mentale iniziava a vacillare e lentamente iniziai a perdere quella lucidità che forse non avevo mai avuto ma che mai avrei fatto ricadere su Jihyun poiché la mia intenzione era sempre stata quella di proteggerlo ogni qualvolta avessi avuto delle crisi, di nascondermi ogni volta che non riuscivo ad essere me stesso anche sè alla fine venivo sempre scoperto.

Il mio cuore si ruppe non appena fui cosciente di capire che fù proprio lui a trovarmi in un completo stato vegetativo, da un giorno all'altro, caduto in un baratro e circondato da tutti quei fogli sparsi sul quale appuntavo tutte quelle cose che mi passavano per la testa.
Jihyun, a quel punto, decise di prendere le redini in mano e di comportarsi lui dà fratello maggiore, raccontando tutto quello che aveva passato negli anni a venire, tutto quello che si era visto davanti agli occhi, così che i miei genitori potessero prendere provvedimenti.

Quei pezzi di cuore, oramai distrutto, li avevo lasciati lì, accanto a lui e accanto alle lacrime che gli cadevano ininterrottamente mentre cercava di guardarmi entrare in quell'ospedale, sperando di risultare forte, più di quanto già non fosse.
Ricordavo perfettamente la sua voce fioca e debole, mentre i medici cercavano di legare al meglio le flebo necessarie per permettermi di rimettermi in sesto correttamente, ripetermi per l'ultima volta "buon compleanno, Jiminie hyung".
Da quel momento, Jihyun non mi aveva mai più rivolto la parola, non aveva mai più parlato di me a qualcuno, non aveva mai avuto piacere nel volermi incontrare e vedere ed io sapevo di lui solo attraverso le rare visite che i miei genitori mi facevano.

-

"Bene, Park Jimin, hai firmato tutto quello che ti abbiamo chiesto?"

L'infermiera del mio reparto, si fermò accanto al tavolo a cui ero seduto, mentre tenevo la penna fra le mani che continuava a sbattere delicatamente sul piano provocando un ticchettio, simile a quello di un orologio.

"Pronto? Terra chiama Park Jimin, ci sei?" Mi passò velocemente le mani davanti agli occhi, lasciandomi risvegliare egoisticamente.

Nulla di grave, semplicemente faticavo ancora a crederci.

"Si, ho firmato tutto, mi scusi infermiera" annuii lentamente, consegnando i fogli, alzandomi "è tutto okay, giusto? Posso andare?"

"Dove credi di andare" sorrise scuotendo la testa "devi aspettare che la dottoressa possa certificarti al cento per cento idoneo per poter uscire"

Mi morsi le labbra, voltandomi d'istinto verso il dottor Kim che, non appena notò la mia preoccupazione, si precipitò verso di me tenendomi le mani delicatamente sulle braccia.

"Sta tranquillo, Jimin, è solo una chiacchierata normale e poi la dottoressa Min è gentile con tutti" sorrise accarezzandomi delicatamente i capelli

"Si dottor Kim, spero sia davvero così" sussurrai abbassando leggermente lo sguardo, sedendomi nella sala d'aspetto concentrandomi per bene sul suono delle lancette dell'orologio, affinché potessi pensare ad altro, ma nonostate i miei sforzi non potei fare a meno di sentire il rumore di tacchi da donna camminare violentemente verso di noi.

Una figura dal viso pacato e tranquillo, l'espressione rilassata e sicuramente dall'aura gentile, ecco chi mi ritrovai davanti.
La mia preoccupazione sparì meticolosamente e abbozzai un piccolo sorriso dopo aver capito che la famosa dottoressa era proprio lei.

Ci presentammo velocemente, mi disse il suo nome e quello che avremmo svolto durante questa chiacchierata e, dopodiché, mi portò in un luogo abbastanza privato invitandomi a sedere davanti a lei.

"Allora, Jimin. Oggi hai compiuto venti anni, è cosi?" Sorrise accavallando le gambe una sull'altra

"Si, si dottoressa" annuii leggermente

"E come ti senti nel giorno del tuo compleanno, hai ricevuto molti auguri?"

"Alcuni dei ragazzi che sono qui si sono ricordati del mio compleanno, quindi credo bene" mi morsi le labbra schierendomi la voce

"Capisco, e la tua famiglia? Non la senti?"

"Potrei sentirla, dottoressa, ma non credo possa fargli piacere" sussurrai scuotendo la testa, abbassandola

"E come mai mi dici cosi? Non sono mai venuti a trovarti, Jimin?" La dottoressa corrugò la fronte, guardandomi

"Sono venuti alcune volte, mi hanno portato delle riviste e alcune volte anche delle mie felpe preferite che avevo lasciato a casa, ma...non mi trattano più come prima"

"Credi che questa sia colpa della tua malattia?"

"Credo che questa sia colpa del destino, dottoressa. Non sono stato io a decidere di ammalarmi di una malattia mentale" strinsi le mani fra loro scuotendo la testa "loro non mi hanno mai accettato per com'ero e l'unico per cui combattevo ancora era mio fratello"

"Era? Non c'è più, Jimin?"

"C'è ancora, dottoressa, è più piccolo di me di cinque anni e al momento dovrebbe averne quindici" sorrisi leggermente "lo immagino cresciuto e maturato sicuramente più di me ma...da quando mi hanno ricoverato qui non l'ho più né mai visto né sentito"

"Beh Jimin, sai che questo può essere uno shock dal quale è molto difficile riprendersi? Non voglio giustificare la tua famiglia o tuo fratello ma dovresti andargli incontro e magari fare anche tu un primo passo"

"Si dottoressa, avrei voluto farlo già da molto tempo ma solo adesso ho trovato il momento giusto, l'aiuto giusto e il coraggio giusto per poterlo fare"

"Ti ha aiutato qualcuno?"

"Si dottoressa, a lui devo la mia vita e gliene sarò riconoscente finché avrò memoria"

"Jimin" sorrise la dottoressa avvicinandosi a me, prendendomi la mano stringendola fra la sua "hai avuto un miglioramento pazzesco e sembri essere molto più forte e sicuro di te. Sei pronto per vivere la tua vita e mi raccomando, metti sempre la tua felicità al primo posto perché tu sei più importante degli altri" mi accarezzò delicatamente il viso, prima di alzarsi aprendo la porta

"Allora dottoressa? Cosa possiamo dire di Park?" Il dottor Kim si posizionò davanti alla porta, guardando prima lui e poi me

"Possi dire che sia pronto, dottor Kim. Jimin, lascerò un documento apposta per te che dovrai firmare e attesterà che sei pronto per uscire. Fai della tua vita il tuo tesoro più grande, mi raccomando" annuì lentamente "è stato un piacere conoscerti"

La dottoressa lasciò quasi subito la stanza in cui precedentemente aveva effettuato le sue domande, lasciandomi con un nuovo sentimento in più che aveva acceso il mio cuore: la speranza.

Face// YoonminWhere stories live. Discover now