Capitolo 5

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«Ma Miguel, Carlo, Cesar e gli altri? Vengono con noi? Non possiamo lasciarli», Julian era più rammaricato di me nel lasciare il mio gruppo di amici in quel quartiere.

«Pulce, ascolta», mi inginocchiai di fronte a lui e gli presi il viso tra le mani, ero pronto ad asciugare le lacrime se fossero scese. Istinto, abitudine, chiamatelo come volete, per me era normalità, esserci per lui.

«I ragazzi resteranno qui, ma continueremo a vederli, magari verranno anche loro a farci visita. Vedrai che ti divertirai. Avremo una stanza tutta per noi, mangeremo alla mensa e giocheremo a baseball», inspirai profondamente, pronto a fronteggiare la sua furia. Era piccolo, ma inarrestabile quando ci si metteva.

«Non andrò più a scuola?».

«Continuerai ad andare a scuola, una nuova, più bella», sapevo che cambiare scuola per lui non sarebbe stato tanto traumatico, non perché fosse un bambino talmente socievole da fare amicizia subito, ma perché nei due anni di asilo trascorsi nella scuola precedente aveva stretto un legame solo con un bambino. L'unico che gli prestava i colori, l'unico che condivideva con lui i Lego e uno dei pochi che sapeva cosa non dire di fronte a mio fratello. Quel suo unico amichetto aveva solo il papà, la madre non era sopravvissuta al parto, motivo per cui credevo fosse un pochino più consapevole degli altri bambini di ciò che stava attraversando Juju.

«Che fregatura, speravo di non doverci più andare».

Ed ecco il genietto che era in lui. Gli scompigliai i capelli e mi rimisi in piedi. Eravamo circondati da borsoni, non avevamo molti vestiti, ma sembrava che lo gnomo non potesse fare a meno dei suoi giocattoli che, sicuramente, avrebbero invaso la stanza del campus.

Ci vennero a prendere in macchina Ken di barbie e un altro ragazzo. Ci sorrisero con gentilezza, ma continuavo a non fidarmi.

«Questo non è un autobus», constatò Juju e io alzai gli occhi al cielo.

«Ciao, piccoletto», il finto modello si piegò e provò a farsi dare il cinque da mio fratello, ma quello lo scartò e gli fece la linguaccia.

«Non sono piccolo», bene, già iniziava a farsi rispettare, era un'ottima cosa. Io seguii mio fratello e sorrisi soddisfatto al Ken di barbie. Avevo sviluppato questo orgoglio nei confronti di Juju che mi portava ad essere fiero delle minime cose. Avreste dovuto vedermi quando scrisse per la prima volta il suo nome quando aveva iniziato l'asilo. Quel foglio, con lettere storte di due colori diversi perché si era consumato il pennarello lungo la stanghetta della L, si trovava ancora attaccato al frigo, accanto alla ricetta per i biscotti di pan di zenzero che ancora faccio fatica a far cuocere nel modo giusto, tutta colpa del forno.

«Vi darà del filo da torcere», dissi, lanciando nel portabagagli il borsone e infilandomi in macchina.

«Sarà divertente», commentò l'altro ragazzo. Non lo avevo notato il giorno che si erano presentati al parco, forse era uno di quelli rimasti in disparte che non erano intervenuti, meglio, almeno potevo farmi una nuova idea su di lui. Si girò dal sedile del passeggero e guardò Julian con un sorriso. , i capelli del medesimo colore e le fossette.

«Mi chiamo Alex, sarà un piacere prendermi cura di te», allungò la mano verso Julian, proprio come se avesse a che fare con un adulto e io attesi la reazione di mio fratello. Forse Alex stava prendendo nel modo giusto lo gnomo.

Juju studiò il palmo e le dita del ragazzo, dopo di che allungò la sua manina e strinse quella grande il doppio di Alex.

«Non devi prenderti cura di me, ho Samu», ed ecco la bomba, non me ne ero reso conto di cosa stesse per scatenare Alex in quella macchina. Mi ero dimenticato, o meglio, avevo volontariamente evitato di dire a Julian che i giorni in cui avrei lavorato lui sarebbe dovuto rimanere con qualcuno della squadra. Non amava venir lasciato a casa dalla mamma, preferiva che lo portassi da Miguel, ma qui si trattava di persone completamente diverse, posti diversi e, sapevo per certo, Julian avrebbe trovato il modo di farli esasperare nel giro di un'ora, non appena lo avrei lasciato solo con loro la prima volta.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora