Capitolo 36

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Fu la cosa più difficile e più facile da fare, non so come spiegarlo, ma era giusto, così come, allo stesso tempo, sentivo fosse un errore.

Chris sedeva sulla panchina al mio fianco, mi accarezzava il dorso della mano e parlava, non so bene di cosa, mi ero distratto ancor prima di sederci, perché quel giorno lo avrei fatto, quel giorno avrei lasciato quel ragazzo perfetto.

Ma ora che mi accarezzava e sorrideva nel suo modo dolce e spensierato, non riuscivo più a capacitarmi di come mai volessi lasciarlo andare, farlo allontanare da me e dalla mia vita. Forse il fatto che avessi insistito per tenere segreta la nostra relazione doveva essere una spiegazione più che soddisfacente, eppure, ero lì che aspettavo che facesse lui un errore e mi desse un appiglio a cui aggrapparmi per avere una scusa per mollarlo.

Ma lui era maledettamente perfetto.

«Samuel, mi stai ascoltando?».

No, ovvio che non ti sto ascoltando, pensai, ma come potevo guardarlo in faccia e riversare su di lui, su quel paio di occhi verdi, tutta quella cattiveria?

«Mi sono distratto un attimo».

«Preoccupato per qualcosa?».

«No, cioè... sì».

«Parlamene», portò il palmo sulla mia guancia e mi convinse a voltarmi per guardarlo e immergermi nel suo sguardo pieno di dolcezza. Per una volta avrebbe pure potuto comportarsi da stronzo e rendermi le cose più facili, però.

«Io non so come».

«Con le parole, prova ad aprirti, ad essere sincero. Io me ne sono accorto che c'è qualcosa che ti affligge, ma non so se si tratta di Julian o della squadra o di...».

«Noi, si tratta di noi».

«Lo immaginavo, ma avevo paura a dirlo», si rabbuiò, la sua espressione, e io mi sentii tremendamente in colpa per aver spento quel sorriso.

«Io non sento più quello che sentivo prima», era una mezza verità. Seppur non ero mai stato davvero innamorato di lui, qualcosa lo avevo provato, qualcosa di profondo e che ora stava svanendo.

«C'è qualcosa che potrei fare per riportarti ad amarmi?», e fu lì che mi riscossi, lui si era convinto che lo amassi, non ricordo di averglielo mai detto esplicitamente, forse per errore, forse me l'ero lasciato scappare una delle volte in cui la passione aveva preso il sopravvento, ma lui in qualche modo si era convinto che tra di noi c'era stato del vero e proprio amore reciproco. Un po' mi infastidì questa sua "conclusione", perché aveva inconsapevolmente vanificato il vero amore che avevo provato per Miguel precedentemente e il vero amore che avrei provato, o almeno speravo che avrei provato, in futuro.

«Chris, non funziona così, non si può riavvolgere il nastro come in una cassetta, ciò che è passato non torna, non sempre almeno. Questa è una di quelle volte. Mi dispiace, io... io non ti amo e mi sentirei tremendamente in colpa a fartelo credere e a tenerti al mio fianco solo per non rimanere solo».

Questa era la verità.

Sarò stato crudele, perché ripensandoci avrei potuto usare altre parole, avrei potuto indorare la pillola, ma lì per lì questo fu ciò che dissi e, come avevo detto a Chris, il nastro non si riavvolge, mai, nemmeno quando è ciò che desidereresti.

«Samuel, noi siamo...».

«Ti prego, Chris, lo so che per te è difficile, ma lo è anche per me», mi ritrassi dal suo tocco caldo e mi alzai dalla panchina. L'unica cosa che mi rimaneva da fare era lasciarlo solo e permettergli di comprendere con calma ciò che era appena successo.

Riuscii a muovere una decina di passi prima di venir richiamato.

«Samuel, sappi che rimarrò il tuo capitano e se avrai bisogno di me, ci sarò».

Come ho detto, non rendeva le cose facili e si dimostrava sempre troppo perfetto.

Avrei voluto amarlo.

***

Non mancai ad un allenamento e così nemmeno Chris. Ci comportavamo come se non fosse mai capitato nulla e il resto della squadra rimase ignaro di ciò che c'era stato e che non c'era più. Solo Drew notò un piccolo cambiamento: gli sguardi del capitano cadevano molto meno su di me.

***

Una notte, mentre Julian dormiva e io leggevo un romanzo che mi aveva prestato Miguel, qualcuno bussò alla porta. Sapevo che Chris prima o poi avrebbe fatto la propria mossa per riavermi nella sua vita, non era questione di egocentrismo, ma semplice corso degli eventi. Lui era innamorato, lo aveva detto e dimostrato, molto probabilmente non era disposto a lasciarmi andare.

Mi avvicinai alla porta, dopo essere passato vicino al letto di mio fratello e avergli scostato i capelli dalla fronte.

Aprii solo uno spiraglio, quel tanto che bastava per guardare in corridoio e alzai il mento nel vederlo lì, in piedi e con le sopracciglia piegate verso il centro.

«Rivera, dimmelo».

Cosa volesse che gli dicessi, non saprei, ma ciò che gli volevo dire non potevo lasciarmelo sfuggire.

«Drew, non credo sia il momento giusto».

«È qui che ti sbagli, credi che esista un luogo e un tempo, ma questo...», si portò una mano al petto. «...non ha un confine, questo è infinito e occupa ogni istante di ogni attimo della mia vita, in qualsiasi luogo io mi trovi».

Ecco come Drew spiegava l'amore. Qualcosa che non necessitava di un posto o di un momento adatto, qualcosa che esisteva oltre ogni limite, oltre ogni immaginazione, oltre me e lui, perché non si controlla, perché, banalmente, al cuore non si comanda.

Infatti, rese perfetto quell'orario in mezzo alla notte e quello spiraglio della porta da cui potevo intravedere i suoi occhi inchiostro e le sue unghie mangiucchiate premute contro la felpa.

«Drew».

«Samuel», era ingiusto, tutto. Io avrei dovuto innamorarmi prima di Drew e così lui di me, in questo modo non avremmo messo nel mezzo Chris, non avremmo creato tutto quell'intreccio di fili che ora mi stringeva le caviglie, la gola e i polmoni e non mi permetteva di aprire un po' di più la porta, tanto da passarci e raggiungerlo.

«Non chiedermelo, non ora», non chiedermi di amarti, perché già lo faccio, non chiedermi di dirtelo, perché già lo sai, non chiedermi di raggiungerti, perché ora non posso muovermi e sarebbe ingiusto farti aspettare.

Sapevo che rinunciare a lui lo avrebbe spinto, inevitabilmente, da qualcun altro, anche se dubitavo che l'amore si potesse soffocare in così poco tempo. Forse speravo che i suoi sentimenti per me fossero abbastanza forti da potergli permettere di aspettare finché io non avessi ritenuto adatto il momento.

«Non devo chiedertelo, condividiamo l'anima, mi basta restare dove sono e mi raggiungerai, che tu muova o meno i piedi. Samuel, non credo nel destino, ma credo in questo, credo in noi, perché mai mi era capitato di alzare lo sguardo al cielo e ringraziare un Dio in cui non credo per l'esistenza di un essere umano. Tu, Samuel Rivera, mi fai andare contro ogni mio pensiero e credo, contro corrente. Mi rendi incoerente. Mi rendi... libero».

Non chiusi la porta, fu lui ad andarsene perché mi rispettava. Rispettava i miei tempi, la mia convinzione che esistesse un tempo e un luogo durante i quali amarsi.

Drew, avrei voluto rendermi conto di amarti prima, ma in quel momento, comunque, ti amavo ed era innegabile.

Cercavo solo un luogo e un tempo, ma il luogo e il tempo scorrono all'interno della scia infinita dell'amore e qualsiasi istante sarebbe stato quello giusto.

Capitò comunque nel momento sbagliato.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora