Capitolo 35

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Quando si vive con un bambino, si deve esser disposti a perdere la speranza di un risveglio tranquillo. Julian, nonostante i rimproveri, aveva l'abitudine di saltare nel mio letto, o di urlare con quella sua vocetta stridula, o di lanciarmi cuscini e pupazzi; insomma, quando si alleva un piccolo mostro, il risveglio dolce e caloroso si deve lasciare nel dimenticatoio.

Mi trovavo sotto il piumino, compreso di testa perché sentivo freddo e il mio stesso fiato mi scaldava il volto rimanendo imprigionato sotto le coperte; era inverno, oltre la metà di dicembre ed ero giustificato a voler dormire in quel modo.

Sentii all'improvviso un peso sullo stomaco e quel clima tropicale che mi ero creato a letto venne brutalmente minacciato dalla manina di mio fratello che si infilò sotto il piumino per sollevarlo e far apparire il suo viso. Sfessurai un occhio e intravidi il suo sorriso ancor prima degli occhi blu.

«NEVICA», mi urlò nell'orecchio e poi scappò verso la finestra. Gli volevo un mondo di bene, ma doveva assolutamente imparare a rispettare i miei tempi di risveglio, così come i miei spazi personali o il mio udito.

Mi alzai e trascinai i piedi fino a raggiungere la scrivania su cui si era arrampicato Juju e gli portai le mani ai fianchi per evitare che si sbilanciasse indietro e cadesse. Con i palmi premuti contro il vetro e nasino a formare cerchi di condensa, fissava i fiocchi di neve, voluminosi come popcorn, cadere dal cielo e depositarsi sui ciottoli, sui rami, sugli steli d'erba e tra i capelli degli studenti che passeggiavano.

Non era raro che nevicasse, anzi, quasi tutti gli inverni capitava, ma Julian reagiva sempre come se fosse la sua prima neve e questo mi trasmetteva sempre un po' di emozione, mi faceva tornare bambino quel tanto che bastava per giocare con lui tutto il giorno.

«Samu, andiamo?», con il ditino indicò l'esterno e mi guardò con l'angolo dell'occhio. Sapeva che ero incapace di dirgli di no quando usava quel tono dolce. E comunque non avevo motivo di negargli una giornata sulla neve. Parliamo di un bambino dell'asilo che ha appena perso la mamma, ma che non ha perso la sua spensieratezza o la sua essenza di bambino curioso, si meritava quella neve e qualsiasi altra sorpresa il cielo avesse in serbo per lui.

«Ricordi le regole, più strati di una torta nuziale e poi puoi andare a giocare fuori», ero certo che non avrebbe fatto obiezioni, sapeva bene quanto fosse rischioso prendere un raffreddore un giorno così vicino a Natale, non voleva passare le festività a letto con la febbre.

Quando si presentò a me, largo almeno tre taglie in più della sua extra-small, gli presi la mano e lo accompagnai fuori.

La neve cadeva fitta e il cielo nel suo bianco latte rendeva infinitamente ampio tutto l'ambiente intorno a noi. I rumori attutiti ci facevano dimenticare di trovarci vicini la strada e i passi che scrocchiavano schiacciando la neve rimanevano impressi dietro di noi come orme di orsi che cercano la propria tana.

Dovetti aspettare solo un paio di minuti prima di venir colpito alle spalle da una palla di neve, mi voltai con la bocca spalancata e le braccia larghe. «Allora vuoi la guerra», dissi iniziando a rincorrerlo. Rideva, rideva così rumorosamente che nemmeno la neve intorno a noi avrebbe potuto nascondere la sua felicità. Lo afferrai dopo pochi passi ampi e lo sollevai per farlo ricadere su un cumulo di soffice neve appena caduta.

Strofinai il naso contro il suo rosso per il freddo e lui ne approfittò per spalmarmi una manciata di neve frammista a qualche filo d'erba contro la guancia. Mi finsi sorpreso e offeso, gli lasciai abbastanza spazio per sgusciare via dalle mie braccia, ma gli concessi solo pochi passi prima di riacchiapparlo.

La mia mente si svuotò, smisi di pensare e di disperarmi per il futuro di quel bambino. Insomma, se Julian dopo la morte della mamma era in grado di ridere in quel modo sincero, come potevo pensare che il suo futuro non potesse essere pieno di gioia?! In quel momento i suoi denti bianchi, alcuni ancora in fase di discesa e altri ancora dondolanti, erano perfettamente in sintonia con i colori dell'ambiente che ci circondava e le guanciotte rosse si intonavano con il nasino a patata e con il calore delle sue risate che risalivano dal fondo della gola e si lanciavano verso il cielo quando mandava indietro la testa e apriva la bocca verso i fiocchi di neve che cadevano e si scioglievano sulla sua lingua.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora