Capitolo 8

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Tornare al lavoro era stato sia strano che ansiogeno. Alla fine, avevo acconsentito che Chris badasse a Julian a patto che alla pausa dal lavoro potessi chiamarlo e sentire la voce di mio fratello. Non ero per niente tranquillo, ma da qualche parte avrei pur dovuto iniziare e sembrava che Chris fosse il più intenzionato a far funzionare questa nuova vita al campus.

Notai Miguel entrare nel bar e avvicinarsi al banco. Non lo vedevo da quando mi ero trasferito, ci eravamo sentiti tutti i giorni e, tutti i giorni, si era fatto passare Julian al telefono per farsi assicurare che venisse trattato bene da tutti. Se stessero trattando bene me non gli interessava.

«Ehi, Sam», si poggiò sul bancone e mi sorrise, anche se era evidente che stesse trattenendo il disappunto. Gli avevo scritto quella mattina per informarlo che avrei ripreso a lavorare e che avrei lasciato Julian al campus. Non era stato felice, mi aveva chiesto perché non lo stessi portando da lui, ma gli avevo risposto che prima o poi Julian avrebbe dovuto accettare questa situazione e che, prima si fosse abituato, meglio sarebbe stato per tutti noi.

«Mig, come va?».

«Bene, ieri io e Cesar siamo andati in sala giochi. Mi ha detto che vuole mettersi a cercare i suoi genitori biologici».

«Di nuovo, ma non li aveva cercati anche lo scorso mese?».

«E quello precedente anche, ma stavolta dice di avere una pista», si strinse nelle spalle.

«Magari scopre che sono dei ricconi e riesce a togliergli qualche soldo».

«Magari», inspirò profondamente e mi preparai, stava per tirar fuori ciò che aveva trattenuto fino a quel momento. «Senti, questa vita al campus funzionerà davvero? Non hai intenzione di tornare?»

«Cosa ho qui?», mi accasciai sul bancone anche io e mi avvicinai a Miguel. Mi era mancato avere un vero amico vicino, al campus era come camminare sulle uova e non sapere mai quando un passo falso avrebbe scatenato la rabbia di qualche giocatore di baseball.

«Hai noi, hai la tua casa, il lavoro».

«Non mi basta».

«Da quando?».

Sapevo che con quelle parole lo facevo solo soffrire, che ero ingiusto nei suoi confronti, perché lui c'era sempre stato, ma stavo cercando di prendere in mano la mia vita.

«Da quando ho deciso che voglio essere felice».

«Qui non eri felice?».

«Voglio essere felice da male alla pancia».

E non servirono spiegazioni, con lui non servivano mai, lui conosceva me e Julian, capiva il nostro modo di comunicare e le nostre stranezze. Per questo era l'ultima persona che avrei mai voluto perdere nella vita. Purtroppo, avevo iniziato a perderlo proprio nel momento in cui Javier Moya aveva fatto il proprio ingresso nella mia vita e non me ne ero accorto.

«Speravo che potessi trovare quel genere di felicità qui con noi».

«Anche io lo speravo, ma ho scoperto che fingevo. Ho sempre finto, ora voglio tornare ad essere sincero con me stesso. Mi terrorizza, lo ammetto, sono fottutamente spaventato da cosa potrebbe accadere se non dovessi far vincere nemmeno una partita a quegli snob dell'università, ma so che questa è la strada oltre il casello, la strada giusta».

Stavo superando il casello di stallo, stavo provando a lasciarmi alle spalle la vita squallida. Finalmente, nel Monopolino della mia vita, potevo rilanciare i dadi dopo che Paperino mi aveva spedito dietro la lavagna, facendomi pure pagare tremila denari; ero pronto per costruire su Via della Neve e Parco della Montagna, anche se ero consapevole che Paperon de' Paperoni mi avrebbe fatto pescare qualche rischio e quel "rischio" era lì di fronte a me, il prezzo da pagare per la felicità da male alla pancia.

La teoria dei calzini spaiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora