Capitolo 11

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La festa era tutt'altro che tranquilla. Non giravano droghe, non pesanti, ma era comunque esageratamente caotica. Forse per questo Alex aveva ipotizzato che mio fratello avrebbe potuto sentirsi a disagio, ma ciò che più temevo era che, invece, potesse avere proprio paura.

Dovete sapere che, quando Julian era più piccolo, intorno ai tre anni, nei momenti in cui aveva paura gli veniva il singhiozzo. Era una sorta di allarme per me, se sentivo il suo hic, io accorrevo. Dopo le prime volte, avevo capito che era un riflesso involontario e che, per assurdo, quando aveva paura, il singhiozzo alimentava la sua paura, come se lo avvertisse che effettivamente c'era qualcosa di pericoloso. Allora, per farlo calmare, mi ero inventato il pulsante spegni singhiozzo. A pensarci ora era ridicolo, ma non per lui e nemmeno per me. Semplicemente, quando si spaventava e singhiozzava, io gli premevo il nasino dicendo «bup» e, per magia, il singhiozzo spariva. Probabilmente si trattava di qualcosa di psicologico che non ho mai compreso, perché è ovvio che non esista un pulsante spegni singhiozzo, ma quella "magia" mi ha aiutato per molto tempo.

Ora che ci trovavamo in una situazione che potenzialmente avrebbe potuto mettere a disagio Julian o addirittura spaventarlo, aspettavo che arrivasse anche il singhiozzo.

Nell'addentrarmi tra gli invitati, strinsi la mano di Julian e cercai di avvicinarlo il più possibile a me.

«Mi fai male, Samu», provò a liberarsi dalla mia presa, ma non gli diedi la possibilità di scivolarmi via.

«Ah, siete arrivati», Chris ci abbracciò con energia. Non so da dove prendesse tutte quelle forze; aveva appena finito una partita durata ore e già era tornato con il sorriso e le braccia pronte a sollevare pesi. Io al posto suo, probabilmente, mi sarei ritrovato sul divanetto accanto a qualche sconosciuto mentre cercavo di non addormentarmi davanti a tutti. Prese in braccio Juju, appunto, senza mostrare alcuna fatica, e sparì in mezzo alla folla. Cercai di seguirlo, ma lo persi di vista quasi subito. Troppe persone, troppi visi sconosciuti, temevo che Juju potesse reagire nascondendosi da qualche parte e potesse far impazzire Chris, oltre che me, che avrei passato il resto della notte a cercarlo negli armadi o sotto i letti. In più Chris non sapeva dove si trovasse il pulsante spegni singhiozzo.

«Tranquillo, te lo riporterà intero tra poco», mi girai e mi ritrovai di nuovo Alex accanto, stavolta con due bicchieri di birra, di cui uno era per me.

«Deve fare attenzione, Juju ha la fissa di assaggiare tutto», la birra era di quella scadente, poco sapore, alto grado alcolico, proprio ciò che mi serviva per accantonare quelle parti della vita che mi facevano sembrare in salita anche una strada in piano.

«I bambini alla sua età sperimentano», si strinse nelle spalle e bevve. Aveva l'aria di saperne più di me ed era raro che capitasse, mai nessun ragazzo della mia età era così esperto di bambini da potermi dare veri consigli. Mi girai con tutto il corpo verso di lui e lo fissai. Gli occhiali dalla montatura spessa erano tornati al loro posto sul suo naso, ma ogni tanto gli scivolavano e doveva spingerseli fino alla radice.

«Vorrei evitare che mio fratello cinquenne torni in stanza ubriaco».

La musica era assordante, le voci si sovrastavano a vicenda, mischiandosi e creando un ambiente quasi ovattato intorno a noi. Julian sarebbe impazzito lì dentro, avrebbe fatto scorta di energie e mi avrebbe fatto diventare matto al momento di andare a dormire. Le luci colorate delineavano i profili di tutti i ragazzi che si trovavano lì in mezzo e donavano fascino a chiunque. Forse anche io ero affascinante sotto quei raggi colorati. Non sono mai stato un ragazzo fissato con l'aspetto, mai avevo avuto bisogno di sentirmi bello, non avevo tempo per storie d'amore, non come quelle dei libri, non con inizi fortuiti in una libreria e serate a cena fuori in qualche bel ristorante; non ne avevo il tempo e nemmeno i soldi, in realtà. Potreste pensare che anche questo fosse dovuto al fatto che non avevo tempo per me, ma in realtà era per il semplice fatto che non sentivo il bisogno di abbellirmi per piacere a qualcun altro, insomma, se davvero avessi avuto bisogno di qualcuno accanto, quel qualcuno doveva volermi per quello che ero ed io ero Samuel Rivera, il ragazzo povero della topaia in fondo alla strada, quello con una madre che usciva in macchina e tornava scortata dalla polizia, un padre sparito chissà dove, un fratello che non scarica l'acqua del water perché convinto che la sua pipì avveleni i pesci del mare e un'insensata paura degli ascensori. Sono delle scatole appese a dei fili che salgono a diversi metri di altezza; e non è vero che se salti prima dell'impatto ti salvi, sono delle stronzate da serie tv, mi sono informato. Mi informo su un sacco di cose da quando Julian mi ha chiesto la prima volta se i croccantini di Oscar fossero "una buona colazione", per lui, non per il gatto.

La teoria dei calzini spaiatiWhere stories live. Discover now