17. L'Assassino e la festa d'estate - p.1

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Volai giù per le scale di marmo, ricoperte da tappeti pregiati. Avevo le mani completamente immerse nel sangue, la camicia ormai strappata pareva essersi dimenticata del colore bianco che aveva in precedenza, e ora sfoggiava un impetuoso color cremisi. E il sangue non si era ancora seccato, ne sentivo l'impronta umidiccia e viscida sulla pelle.

Oh Dio, che avevo fatto?

Gli avevo ficcato il tagliacarte nel collo, ecco cosa. E quell'uomo che mi sovrastava con la sua imponente mole era caduto, schiacciandomi contro il letto a baldacchino, spalmando il suo collo reciso, aperto, sbrindellato, sui miei vestiti altrettanto stracciati. Il sangue era colato e si era prepotentemente insinuato fra i miei vestiti, sulla pelle. Mi aveva intriso le mani per ricordarmi che io lo avevo fatto sgorgare.

Che io avevo ucciso.

Non ricordavo cos'era successo dopo. C'erano state delle urla, sicuramente. Almeno mi pareva di averle sentite, perché era tutto ovattato. Ma qualcuno era entrato e aveva visto. Aveva visto ciò che io aveva fatto. Ciò che un semplice ragazzino di appena tredici anni era stato in grado di fare.

Ed erano seguite le urla, forse anche qualche svenimento. Io ero scivolato via da sotto al corpo grasso dell'uomo, che se ne stava col tagliacarte nel collo, le mani ancora sulla cintura, colto nell'atto impudico a cui si preparava, la faccia schiacciata contro il materasso, il sangue che continuava a sgorgare e riversarsi sulle lenzuola. Avevo iniziato la mia corsa.

Mi strinsi le mani sulla bocca, cercando di trattenere un conato di vomito, che si scatenò ancora più violentemente quando mi accorsi che avevo le mani inzuppate di sangue e che me lo ero accidentalmente spalmato sul viso. Sulle labbra.

Ma lo ricacciai nel fondo della gola e continuai a scendere, a correre, ad ansimare, a chiedermi cosa avevo fatto. Le guardie reali stavano arrivando. Le grida imperversavano, le serve svenivano alla vista del sangue che mi imbrattava persino il volto, i servi urlavano di acciuffare il maledetto assassino. Perché questo ero, adesso.

Un assassino.

Ed era stato maledettamente facile diventarlo. Mi erano bastate due azioni. Solo due azioni. Prendere il tagliacarte e ficcarlo nel flaccido collo del nobile. Due azioni.

Facilissimo, no?

Strinsi le palpebre, convincendomi a non ricordare. Capitava a volte, non mi servivano neanche gli incubi. Succedeva quando mi annoiavo, mi incantavo, quando facevo vagare il mio sguardo per aria. Arrivavano così i ricordi, mi sovrastavano. E io non potevo fermarli in alcun modo perché erano come un fiume in piena e la mia fragile mente, la diga, cadeva e si frantumava in mille pezzi.

Saldai la mia presa intorno alla gargolla di pietra, che mi offriva un ottimo nascondiglio e riparo da occhi indiscreti. Spostai il peso del corpo da una gamba all'altra, mentre affilavo le palpebre per evitare che la  pioggerellina che continuava a cadere incessantemente mi accecasse. Con la mia destrezza, era difficile che scivolassi sulla pietra umida, ma non abbassai la guardia.

Ero su quel tetto per un tempo tanto lungo da aver smesso di tenerlo a mente. Volevamo fare un sopralluogo, perciò l'attività mattutina era controllare come aquile quell'elegante appartamento su due piani dal lato opposto del marciapiede rispetto a dove ci trovavamo. Proprio di fronte. Non si trattava che della dimora temporanea di Martin, per il tempo che gli sarebbe servito a svolgere i suoi affaracci sporchi. 

Per essere una sistemazione momentanea, era decisamente sfarzosa: i tetti verde smeraldo, gli stucchi e gli architravi bianchi, i colonnati curati e le maniglie della porta d'ingresso tutte luccicanti. Era quasi scontato che fosse così perfetta, visto che l'appartamento godeva di una posizione favorevole. Il quartiere migliore di tutta Skys Hollow, dove abitavano i cittadini più abbienti e anche qualche nobile che preferiva la vita di città, piuttosto che un maniero o una tenuta nelle campagne. 

Le cronache dell'Assassino 1 - Sfavillo | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Where stories live. Discover now