27. L'Assassino e l'ultima notte

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«Avrai avuto freddo ad aspettarmi qui per tutta la sera.» avevo esordito, con un tono gelido, granitico, cercando di mascherare strenuamente la tensione che solcava i tratti dolci del mio viso. «Vado a preparare qualcosa di caldo da bere.»

Poi ero sgattaiolato nel cucinino e ora, con la schiena poggiata contro l'anta di legno della dispensa, tenevo il palmo posato all'altezza del cuore. Cercai di calmare le palpitazioni frenetiche, mentre sentivo le mani sudare. Presi un profondo respiro e mi obbligai a muovermi: se ci avessi messo troppo tempo lui lo avrebbe notato.

Volevo tanto trovare un modo per avvisare Yul di venire, di venire subito, ma fu un pensiero fugace ed irrazionale, perché se fosse entrato in casa e avesse visto Alaister nel nostro salotto sarebbe scoppiato l'Inferno. Era una benedizione che fosse occupato con la nuova missione.

L'idea che il Re degli Assassini fosse entrato in casa mia, che avesse profanato questo luogo a me sacro, era pari al sapere che un predatore era entrato nella mia tana cercando di sventrare i miei cuccioli. Come un eretico che entra in un tempio. Come un santo che si infiltra in un bordello, anche se nel signor Noir non c'era niente di santo.

Lui era nel mio salotto e l'idea era inconcepibile. Inaccettabile.

Come aveva scoperto dove vivevamo? Forse lo aveva appreso da quei pochi membri della servitù che mi avevano aiutato a trasportare mobili dalla Fortezza, anche se li avevo pagati per avere il loro silenzio? O magari aveva mandato qualcuno a pedinarci, dopo che avevamo pagato la penale per lasciare la Gilda?

Non saperlo mi faceva innervosire e la sola idea che, per entrare, avesse scassinato con facilità la serratura all'ingresso aumentava l'irritazione fino a trasformarla in rabbia. Quando avevo abbandonato la Fortezza al fianco del mio compagno, ero convinto che fosse l'ultima volta che avrei visto Alaister.

E invece mi sbagliavo.

Mi azzannai l'interno della guancia così forte da sentire il sapore di sangue sulla lingua, prima di rimettermi davanti al piano cottura, trasferendo l'acqua bollente dal pentolino alla raffinata teiera d'argento che avevo comprato insieme al resto del servizio di tazze e piattini per poche monete da un mercatino delle pulci.

L'odore del caffè d'orzo, ottimo da bere di sera senza rischiare di perdere le ore di sonno, si diffuse nel cucinino e ben presto anche nel salotto, quando mi spostai brandendo il vassoio, che appoggiai con un cozzare involontariamente forte contro al tavolino. Avevo perfino posto qualche biscotto secco dentro ad un piattino, benché sapessi che né io né Alaister li avremmo toccati. Stavano lì per far scena. Come il resto.

Fingendo che fosse una bella visita di piacere e lui un ospite gradevole, anche se non sapevo che cosa fosse venuto a fare in casa mia e non vedevo l'ora di calcioruotarlo fuori dalla porta per farlo arrivare fino alla luna.

«Davvero cortese, Helias.» esordì, il tono compiaciuto di un serpente viscido. «Ti ho educato proprio bene.» Come se fosse lui il responsabile di ogni mio comportamento e io solo una bella bambola a cui, in tutti questi anni, ha pettinato i capelli, cambiato i vestitini ed insegnato a fingere umanità.

Gli versai l'orzo nella tazzina e poi gli feci un cenno con la mano, per invitarlo a prenderla e servirsi a piacere con le zollette accatastate nella zuccheriera argentea, che splendeva un po' davanti al chiarore delle candele da poco accese. Avevo pensato di avvelenargli la bevanda, ma non avevo veleno in casa e Alaister non sarebbe caduto in un tranello così banale.

Era stato lui ad insegnarmi come riconoscere certi trucchi. Ed io ero meglio di così, lo sapeva anche lui, purtroppo.

«Evitiamo i giri di parole. Perché sei qui, Alaister?» sciorinai, stringendo così forte la tazzina che se fosse stata di porcellana l'avrei senza dubbio rotta. «E soprattutto, perché pensi di poter entrare liberamente in casa mia, come se ti fosse dovuto?»

Le cronache dell'Assassino 1 - Sfavillo | 𝑩𝒐𝒚𝒙𝑩𝒐𝒚 |Where stories live. Discover now