◇─ Capitolo trentasette ─◇

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Il nostro arrivo a Miami era stato programmato per le sei del mattino, ma arrivati a Jacksonville siamo stati imbottigliati nel traffico per quasi un'ora. Dopo la sosta a casa di Dick, Victor ha accompagnato Kori a casa. Sono stata la penultima ad arrivare. Ho scaricato i bagagli, ho salutato Victor e sono entrata in casa. Tutto esattamente come l'avevo lasciato. Sono stata via solo due giorni, eppure a me sembra una vita. Lascio cadere la borsa sul divano e poi trascino la valigia su per le scale. Sospiro appena vedo la mia stanza, la mia finestra. Non l'avrei mai detto, ma... mi mancava tutto di questa casa. Mi siedo sul letto e resto così per un po'. Il silenzio interrotto dalle auto che passano mi strappa un sorriso. Sono tornata a casa, potrei desiderare altro?

Mi alzo con un salto e vado verso il bagno. Mi lavo il viso con l'acqua fredda, giusto per scacciare quel minimo di sonno che mi rimane. Finito di asciugarmi, scendo le scale e vado verso la cucina. Apro il frigo e tiro fuori una bottiglia mezza piena di succo d'arancia. Mi giro e mi ritrovo davanti al tavolo, dove in una scatola a forma di cuore ci sono ancora dei biscotti al cioccolato.

Oh, Kori...

Ne addento uno e mi siedo. È meno morbido del giorno in cui l'ho assaggiato per la prima volta, ma il ripieno è squisito come sempre. Vicino alla scatola dei biscotti vedo il cellulare vibrare. L'ho lasciato a Miami per non distrarmi dal viaggio a Cleveland. Lo prendo e controllo le notifiche: tre messaggi promozionali, uno di Kori e tre chiamate perse da Isabella e David. Appena leggo i loro nomi, sento l'aria mancarmi nei polmoni. Provo a rileggere per essere sicura di non essermi confusa.

Incredibile, i miei genitori mi hanno chiamato per davvero. Per ben tre volte. Un record, in sintesi. Controllo l'orario sullo schermo del cellulare. Mi hanno chiamato alle sette e trentacinque −le dieci e trentacinque di sera, da loro − del mattino il giorno in cui sono partita. Non so se essere entusiasta della cosa o seccata. Dopo quasi due anni che sono a Sydney, in un momento a dir poco orribile della mia vita, decidono di chiamarmi. Continuo a controllare le notifiche, e quando leggo di un loro messaggio in segreteria, mi viene quasi da ridere. Questo sì che è un passo avanti, dalle chiamate ai messaggi in segreteria. La giornata non potrebbe andare meglio - o peggio −. Senza troppi indugi vado ad ascoltare il messaggio, con un po' di ansia che si accumula nel petto.

‹‹Ciao tesoro!››, riconosco all'istante la voce di Isabella, più entusiasta del solito. ‹‹Siamo noi, mamma e papà››.

‹‹Abbiamo provato a chiamarti, ma non hai risposto››, continua David con un tono che mi irrita, come se non fosse lui l'uomo che ha lasciato sua figlia da sola per quasi due anni. ‹‹L'Australia è sensazionale, da togliere il fiato. Il nostro servizio va a gonfie vele, dovremmo venire più spesso qui, a Sydney››, ho una voglia matta di scaraventare il telefono contro un muro. ‹‹Ovviamente tu verresti con noi››, aggiunge mio padre, come se già sapesse che l'idea di un altro viaggio mi manderebbe su tutte le furie. ‹‹Pensa, abbiamo già fatto una mappa di tutti i luoghi per i nostri reportage... Spagna, Italia, Russia...››

‹‹India, Cina, Giappone...››, il loro entusiasmo mi tocca i nervi. Ogni paese citato è sempre più distante da Miami. Magari contano sul fatto che fra poco avrò sedici anni, ma... dannazione! Che razza di genitori mette il lavoro davanti alla famiglia? Un' interferenza interrompe il loro discorso. ‹‹Oh! La troupe ci chiama, abbiamo un bel po' di posti da visitare››, esclama mia madre con tono melodioso. ‹‹Facci sapere come vanno le cose a Miami. Tutto okay? Come va la scuola? Hai fatto amicizia? Hai trovato un bel ragazzo?››. Vorrei mettere fine a questa tortura e chiudere qui la faccenda. Eppure continuo. Che razza di masochista che sono.

‹‹Mi raccomando, chiamaci appena puoi. Tanti saluti!››.

E finisce così. Niente di così speciale, dopotutto. Mi hanno semplicemente anticipato il fatto che semmai dovessero tornare, andrebbero all'aereoporto per raggiungere un altro posto, ancor più lontano.

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