Tre giorni

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Il tramonto colorava con le sue tinte infuocate i declivi attorno alla città di Polis.

"Tre giorni" pensò Clarke senza riuscire ad apprezzare quella splendida vista.

Un sospiro stanco le sfuggì dalle labbra, non aveva ancora parlato con nessuno della nuova minaccia, non ne aveva avuto ancora il coraggio. Forse, tenerla per se, significa fare finta che non esistesse. Troppe cose erano andate distrutte durante le ultime settimane e non riusciva a guardare in faccia Bellamy, sua madre, tutti e dire loro che non era ancora finita, specialmente ora che tutti si stavano dando da fare per trovare una sorta di equilibrio.

Bell lo sapeva ma non le aveva chiesto più niente, sentiva il suo sguardo preoccupato su di se ma continuava a tacere, aspettando che lei trovasse la forza.

Strinse le mani al parapetto, non era più certa di avere la fermezza necessaria per affrontare ancora ciò che sarebbe accaduto.

In quel momento sentiva la mancanza di Lexa, con lei, solo per poco, aveva trovato la pace, non le bastava sapere che il suo spirito sarebbe sempre stato accanto a lei, voleva perdersi fra le sue braccia, sentirsi consolare dal suo amore, ma non sarebbe mai più accaduto.

"Gli altri sono pronti" . Clarke sentì la sua presenza dietro di se, non lo aveva sentito arrivare. Non voleva voltarsi, non voleva mostrargli le lacrime che le bagnavano le guance.

"Clarke girati". ma lei non lo fece, scosse solo il capo tentando con tutta se stessa di riprendere un minimo di contegno.

Sentì la sua mano appoggiarsi alla spalla. Rimasero immobili in quella posizione, come se Bellamy, con quella semplice stretta, capisse quello che stava provando e, in un lampo di consapevolezza, comprese: Lui sapeva cosa lei stava sentendo, il dolore che traboccava al ricordo di una persona amata ormai scomparsa. Gina, un nome che per lei non significava nulla, ma che per Bellamy rappresentava un mondo.

Si voltò verso di lui, non lo guardò in viso, si lasciò avvolgere dalle sue braccia e cullare nel suo abbraccio. Cercando, l'uno nell'altro, la forza di superare il dolore e la mancanza.

Solo quando il tramonto lasciò lo spazio alle prime stelle della sera e la consapevolezza del compito che li attendeva si fece strada nei loro pensieri si sciolsero da quell'abbraccio che, forse, era durato anche troppo.

"Sei pronta?" chiese Bellamy scrutandola attentamente.

Clarke annuì e si fece strada verso quella che, una volta, era la stanza del trono.

In quei tre giorni, da quando la Citta della Luce era stata distrutta, era stato fatto molto: i feriti erano stati spostati in alcune stanze vuote dove era stato attrezzato un piccolo ospedale, chi non era stato ferito si stava adoperando a pulire le aree che erano state il campo di battaglia e, altri, avevano costruito delle scale nella tromba dell'ascensore per poter comunicare nuovamente con l'esterno.

Molta gente dei clan si era spostata dalla Torre e bivaccava nella città adoperandosi per dare una nuova parvenza di quotidianità ad un luogo che portava i segni visibili dell'orrore che l'aveva colpito.

Nessuno aveva ancora osato allontanarsi dai confini di Polis, come se, quel luogo che aveva raccontato dei loro misfatti, fosse anche l'unico in cui potessero essere compresi, accettati e perdonati. Pochi erano stati coloro che, nel buio della notte, si mescolavano nelle ombre per scomparire nella foresta non riuscendo a reggere lo sguardo degli altri consci delle nefandezze commesse.

La notte ancora si sentiva la gente urlare per gli incubi, molti avevano cominciato a riunirsi in piccoli gruppi, persone di clan diversI, persino gli skykru. Ognuno sembrava trovare nella presenza degli altri il conforto di sapere che, come loro, comprendevano le ombre di rimorso che si rincorrevano nei loro sguardi sfuggenti.

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