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Quelle minacce echeggiarono nella sua mente fino all'arrivo del 31 gennaio, che avrebbe concluso l'anno in cui si era illusa che tutto fosse finito. E invece era giunto l'Inverno e quei primi dieci giorni le erano parsi un'eternità, che sembrava destinata a finire presto se si dava credito alle parole di colui che si spacciava per Scoiattolo Invernale o per un suo complice. Aveva promesso di non dare tregua e per questo motivo Monica si aspettava qualcosa di brutto, da un momento all'altro.

Ebbe modo di rivedere Piero, dopo la tragica partita della morte vinta per un soffio. Lo incontrò il pomeriggio in cui si recò in Centrale per l'ennesima deposizione e, nonostante avesse voluto pronunciare centinaia di parole, non aprì bocca e lo stesso fece il detective, assorto nel suo silenzio, simile a quello scaturente da un voto solenne. Stava ultimando le ultime pratiche burocratiche, poi sarebbe ripartito per Roma. Non voleva saperne più nulla di quella storia.

La morte di Chiara lo aveva sconvolto e un osservatore esterno avrebbe appurato che fosse normale, dal momento che erano colleghi da una vita, avevano passato insieme momenti difficili, dalla quale era sorta una profonda amicizia. Ma Monica sospettava da sempre che ci fosse qualcosa di più tra loro e che quel tragico evento aveva spezzato irreversibilmente. Non lo avrebbe mai saputo, ma qualcosa le suggeriva che aveva ragione.

Piero, quando la vide, si limitò a sorriderle, quasi volesse ringraziarla per avergli salvato la vita e al contempo rassicurandola sul fatto che quello che era successo non era colpa sua. Se avesse parlato le avrebbe detto che nessuno aveva imposto a lui e a Chiara alcunché e che quella terribile vicenda andava avanti da troppi anni e che spettava a loro due porvi fine. Ma, nonostante ciò, Monica non riusciva a esimersi dalle sue responsabilità.

Quando il Detective chiuse la valigetta, lasciò intendere che la sua permanenza a Milano stava per concludersi definitivamente. Si guardarono a lungo e, prima di abbandonare l'edificio, le appoggiò una mano sulla spalla. "Stammi bene. Buona fortuna."

"Anche a te." disse Monica, che lo guardò andarsene e sparire dalla sua visuale. Non sapeva se l'avrebbe mai rivisto, ma sperava riuscisse a riprendersi il più presto possibile.

"L'ho uccisa io." affermò senza alcuna incertezza Monica, seduta sulla seggiola che accompagnava le sue sedute terapeutiche. Aveva il viso smunto e due evidenti occhiaie dovute alla mancanza di sonno. Maria più volte le aveva proposto di assumere alcuni farmaci per riuscire a dormire, ma la giovane si era sempre rifiutata, sostenendo di non volere imbottirsi di medicinali, in quanto preferiva essere lucida in vista della tempesta in arrivo.

Maria chinò il capo, aspettandosi una reazione del genere da parte della sua paziente, la cui situazione personale stava precipitando. "Abbiamo già parlato di ciò e sai come la penso, Monica."

"Si, non è colpa mia, bla bla, etc. etc..."

"Ti sento arrabbiata."

"Tu che dici?! Non so se te ne sei accorta, ma le persone vicine a me stanno morendo!" esclamò Monica, la quale si rese conto di aver esagerato. "Scusami, non devo prendermela con te. Stai solo cercando di aiutarmi."

"Giusto, sto cercando di aiutarti." confermò la psicologa. "E sfogarti può solo farti bene."

"Sai come vorrei sfogarmi? Torturando quel pazzo e farlo soffrire a lungo."

"Monica, hai salvato la vita a una persona", cambiò discorso Maria, "e hai retto un gioco macabro in cui chiunque altro sarebbe crollato. Sei ancora qui, lucida e pronta a lottare."

"Non penso di essere sufficientemente forte per affrontarlo."

"Sei protetta a vista. Quel matto non si può nemmeno avvicinare a te. Sei al sicuro."

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