Giuro che gli sputo in un occhio

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Mi sembrava di essere in uno di quei tipici pranzi con la famiglia. Quelli in cui c'è sempre la nonna che sputa la dentiera nella minestra e il bambino grassottello che si mangerebbe il tavolo con tutti i commensali.

Moreen e Martin mi avevano invitata a pranzare con loro, e io avevo malauguratamente accettato.

Senza mettere in conto che, nonostante la mia amica fosse una mia coetanea, il suo istinto da donna sposata e con delle responsabilità sulle spalle mi avrebbe vista come la figlioletta scapestrata da mettere in riga.

"L'asso del baseball" non era da meno, con quel suo aspetto muscoloso e atletico e quell'aria da uomo intelligente e osservatore, non faceva altro che dar man forte a Mor, magari rincarando la dose e aggiungendo commenti decisamente non richiesti.

Ero al cospetto dei miei genitori, in pratica.

«Comunque io e Martin abbiamo deciso di andare a fare una gita sul lago il prossimo mese» cinguettò la mia amica, prendendo il braccio di suo marito e stringendolo a sé.

Le immagini del loro nauseante matrimonio mi tornarono alla mente e cercai di scacciarle via il prima possibile.

Dovevo essere felice per lei e per la sua nuova vita.

Dovevo esserne felice.

Tuttavia la mia mente corse alla figura di Mor infilata in quell'abito che la faceva sembrare una meringa venuta male, che baciava Martin, rosso come un pomodoro maturo e sudato come il culo di un camionista, davanti all'altare.

Il modo tremendamente amorevole con cui lo aveva stretto a sé e guardato, sbattendo quelle sue lunghissime ciglia scure e folte che la rendevano bella come sempre.

Poi il mio cervello mi mostrò anche le immagini imbarazzanti di me e il cugino ubriaco di Martin, impegnati in un'approfondita conoscenza delle rispettive bocche e appartati in un angolino. Le scacciai con forza.

Fatto sta che, in quel momento, avrei voluto andare lì e staccarli uno dall'altra, proprio come avrei voluto fare in chiesa, qualche mese prima.

«Ma che bello...» commentai soltanto, annuendo leggermente e infilandomi un pezzo di carne in bocca.

La cucina di Moreen era la migliore al mondo.

«Tu invece? Come va con il lavoro?»

La domanda di Martin mi fece andare il cibo di traverso, e mi ritrovai a tossire in cerca di acqua.

Volevo alzarmi e scappare via. Così, senza dire niente.

E invece rimasi lì, sotto i loro sguardi curiosi e carichi di aspettativa. Proprio come una coppia di genitori.

Avrei giocato la carta dell'indifferenza, magari liquidando la faccenda in fretta.

«Mi hanno licenziata ieri» confessai lapidaria.

Via lo strappo via il dolore, giusto?

E mentre loro si guardavano allibiti - proprio come due genitori alle prese con la figlia - io impiegai il tempo che mi restava prima della ramanzina per asciugarmi la bocca con uno dei tovaglioli ricamati a mano di Moreen.

Proprio dei bei tovaglioli...

«Non ci posso credere! Di nuovo?» strepitò la mia nuova madre, paonazza in viso.

Martin mi guardava sconfortato e profondamente deluso. La loro bambina li aveva feriti.

«Già, che peccato: quelle megere delle mie colleghe mi mancheranno così tanto!» Recitai io, assumendo un'aria melodrammatica e fissandola con divertimento.

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