Solo brutte notizie

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Ero nell'unica stanza normale di tutto l'edificio. L'ufficio di George mi attorniava, con quelle sue pareti verdine e quei mobili chiari che donavano un aspetto shabby a tutto l'ambiente.

Le foto piazzate sulla scrivania, rappresentavano la sua famiglia e in molte di loro potevo veder spuntare il viso simpatico e familiare di Travis.

In alcune c'era anche una donna e una bambina davvero piccola, certe volte tra le braccia di sua madre, altre sulle gambe di George, ma mai con Trav.

Tutto era così fuori posto eppure così normale, probabilmente non mi sarei mai completamente abituata a quella stanza.

Alla fine avevo deciso di andare a chiedere del contratto prima che il mio turno finisse.

Dopo aver visto Destan seguire le ragazze nel privet fui invasa da un intenso moto di rabbia e disgusto e avevo lasciato la sala, scusandomi con Katherine e lasciando che Giorgina e Sierra, la nuova ragazza in prova, prendessero le altre ordinazioni.

Avevo bisogno di respirare aria libera da qualsiasi ansia o malumore, se avessi chiuso gli occhi avrei sentito la tensione avvolgermi, pizzicarmi la pelle e bruciarmi appena.

Stare là dentro era come cercare di respirare in una bacinella piena di acqua.

Dopo aver chiuso la porta alle mie spalle mi ero messa a correre verso l'ufficio di George e avevo provato a scacciare via quel veleno che mi stava corrodendo lo stomaco.

Avevo solo bisogno di non pensarci e dedicarmi ad altro.

Quindi eccolo lì George, in giacca e cravatta, intento a premere velocemente i tasti del suo computer portatile di ultima generazione. Un aggeggio elettronico che io non sarei mai riuscita a permettermi.

Lo vidi grattarsi un sopracciglio e poi fissare lo schermo con aria assorta e concentrata.

Da quando ero entrata si era solo limitato a farmi cenno di accomodarmi sulla famosa poltroncina mal ridotta e poi era tornato al suo lavoro, lasciandomi immersa nel silenzio dei miei pensieri.

E io che ero andata lì da lui per cambiare aria, invece mi ritrovavo a contorcermi le budella, seduta su un cuscinetto di gommapiuma e con fastidiosissime nubi oscure ad offuscarmi la mente.

La testa mi faceva male e anche il sedere aveva iniziato a farlo. Ma George era immobile e chiuso in un mutismo ermetico, come se io non fossi neanche mai entrata in quella stanza. Come se io non avessi dovuto bussare due volte perché non aveva risposto alla prima.

Avrei fatto meglio a passare più tardi.

Avrei fatto meglio a tornare al mio lavoro.

Avrei tanto voluto rincorrere Destan dentro il privet e tirarlo fuori a calci nel culo.

No. Non era il mio compito. Dovevo servire bibite e sorridere a tutti.

George si schiarì la gola e mi guardò da dietro gli occhiali da lettura che si era messo. Avevano una forma rettangolare e la montatura era azzurra, non gli stavano male, ma lo facevano apparire come il tipico secchione della classe. Era buffo.

«Dimmi, Elara.» Sembrava nervoso e irritato dalla mia presenza. La sua voce trasudava tensione e io persi quasi le parole, accorgendomi di averle svanite all'improvviso come bolle di sapone.

Mi ritrovai a strofinare i palmi sudati sui pantaloni neri, quelli che avevo comprato con Moreen, e a cercare le lettere giuste.

D'un tratto la mia bocca sembrava piena di sabbia e cemento, non riuscivo a trovare il modo corretto per dirgli che volevo un contratto vero e proprio.

Inspire MeWhere stories live. Discover now