Il Nolen

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Erano passati quasi tre giorni dal mio ultimo incontro con Destan.

Tre giorni. Non l’avevo sentito, non l’avevo visto e non mi ero neanche svegliata alle due di notte per assicurarmi che tornasse a casa sano e salvo.

Silenzio assoluto.

Avevo persino sperato che qualche ragazza venisse a fargli visita. Non era mai successo, ma almeno avrei avuto la testimonianza che fosse ancora vivo.

Pensandoci bene non avevo mai visto nessuno entrare in casa sua. Non avevo mai sentito ansimi sospetti nel bel mezzo della notte e non mi ero mai imbattuta in qualche fanciulla piangente che bussava disperatamente alla sua porta.

Sinceramente mi sarei aspettata qualcosa del genere. Destan dava più l’impressione di essere il solito bad boy con l’aria tenebrosa, il passato da dimenticare e la passione per le donne.

Invece non lo avevo mai visto con nessuna ragazza, neanche alla Mela D’Oro.

Probabilmente mi ero fatta un’idea sbagliata di lui. Probabilmente mi ero fatta incantare dai suoi occhi nocciola e dai suoi capelli scuri e l’avevo automaticamente catalogato come l’ennesimo caso umano da archiviare ed evitare a tutti i costi.

Che non avesse tempo per una ragazza?

Soppesai quella possibilità, facendo ondeggiare il whiskey nel mio bicchiere.

Effettivamente il suo lavoro gli rubava buona parte della serata e la stanchezza che si portava dietro lo costringeva a dormire fino al tardo pomeriggio.

Magari una ragazza non avrebbe neanche potuto trovare uno spazio minuscolo nella sua vita così incasinata.

Bevvi d’un sorso e mi schiarii la gola, cercando di scacciare via quel retrogusto amaro che mi lasciava quella bevanda color caramello.

Più ci pensavo più rodevo dalla curiosità di sapere come mai avesse scelto proprio quel lavoro. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, invece faceva lo spogliarellista. Non aveva senso.

Riempii il mio terzo bicchiere di whiskey e mi alzai per andare a cambiarmi.

Era sabato, il ché voleva significare che sarei dovuta per forza andare al Nolen con Martin. Avevo dovuto accettare e Moreen non mi aveva neanche dato la possibilità di declinare la sua gentilissima offerta e lasciare che ci andasse insieme al suo favoloso maritino.

Sbuffai e aprii le ante dell’armadio con una mano, nell’altra tenevo ancora il bicchiere di vetro, che svuotai in un sorso prima di immergermi in quell’ammasso di vestiti che non aveva né forma né ordine.

Sì, non amavo sistemare le mie cose. Il bagno era una triste testimonianza del mio essere un uragano che semina distruzione e scompiglio.

Provai a scavare più a fondo e trovai gli unici due vestiti decenti che ero riuscita a portarmi dal Maryland.

Li avevo messi a qualche festa, ma non ero mai andata a comprarne di nuovi: non avevo soldi a sufficienza per permettermi qualcosa del genere.

Li presi entrambi e li lanciai sul letto sfatto. Uno dei due finì su una delle numerosissime lettere inviatemi dalle case editrici a cui avevo fatto domanda di pubblicazione. Ovviamente tutte con responso negativo.

Sbuffai al solo pensiero dell’ennesimo rifiuto e mi accovacciai sul pavimento, alla ricerca delle scarpe eleganti che avevo sicuramente lasciato sotto il letto dall’ultima festa.

A pensarci bene erano passate più di tre settimane da quando avevo partecipato a una di esse. Se la memoria non mi ingannava ne avevano tenuta una in un bar vicino al mio vecchio lavoro. Quella sera mi ero ubriacata così tanto che mi ritrovai a limonare con il mio capo reparto. Il giorno dopo mi avevano licenziata.

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