Una gioia per Elara

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Quando mi chiusi la porta alle spalle ebbi la netta sensazione di aver appena dato il via alla mia orribile rovina.

Non sapevo cosa stessi facendo, e non sapevo se tutto quel piano avrebbe effettivamente dato i suoi frutti.

Probabilmente ero solo un topo diretto verso la trappola, consapevole di tutto.

Probabilmente sarebbe andato tutto male e io me ne sarei presto tornata a casa mia, nel Maryland.

Probabilmente avrei fallito per l'ennesima volta e avrei finalmente accettato i piani di mia madre, quelli per farmi andare a lavorare con papà nella sua ferramenta.

Come se io sapessi distinguere un chiodo da una vite...

L'aria del mio appartamento sapeva ancora di alcool e di chiuso, nonostante la puzza stesse scemando, e il naso iniziò a pizzicarmi per il disgusto.

Mi guardai intorno e poggiai le buste sul bancone, facendo finta che Destan non fosse lì con me, intento ad analizzare ogni mia mossa.

Mi aiutò a raccogliere gli acquisti dal pavimento e li posò sul tavolo con una tale naturalezza che mi diede l'impressione di trovarmi a casa sua, non nella mia.

«Quindi, mi spieghi cos'hai in mente di fare?» chiese poi, porgendomi un cartone di latte e lasciandomelo infilare nel frigo.

Rimasi ferma a fissarlo per qualche istante, la sua mascella si era rilassata e anche le spalle sembravano meno rigide, dalla mia posizione accovacciata riuscivo persino a vedergli la pelle sotto la magliet...

Mi schiarì la gola di colpo, costringendomi a guardare altrove.

Certo. Dicevamo?

«Ehm... dammi un secondo e ti spiego tutto...» risposi poi, spingendo freneticamente una confezione di formaggio tra la pancetta e un cavolfiore grande quanto un pallone da football.

Non ci pensare, Elara. Non ci pensare.

Quando finalmente vinsi la mia partita di Tetris e chiusi l'anta del frigo, lui stava analizzando attentamente qualcosa infilato dentro il lavandino.

Non mi ci volle molto per comprendere che si trattava proprio della bottiglia che mi ero scolata il giorno prima.

Mi avvicinai e la buttai nella pattumiera, guadagnandomi un'occhiata eloquente da parte sua.

Quelle due perle rimasero immerse nella pece dei miei occhi per un tempo che mi parve infinito. Ero così intiepidita da quel contatto che quasi sussultai quando mi fece una domanda, strappandomi via dal mondo dei sogni.

«Bevi spesso?»

Come, scusa?

Sbattei le palpebre più volte, facendomi raggiungere dalla consapevolezza che, forse, Destan mi stava dando dell'alcolizzata. Pensava sul serio che ne fossi dipendente?

Aggrottai la fronte e mi allontanai di un passo.

«Bevo solo quando ne ho bisogno» sibilai con voce acida e perentoria.

Volevamo parlare delle sue di dipendenze? Eh?!

Aprì la bocca per ribattere, ma lo bloccai in anticipo, allontanandomi da lui e dirigendomi verso il salottino.

«Forse è meglio iniziare.»

E il cuore prese a battermi così forte nel petto che quasi non riuscii a sentire nessun altro rumore nella stanza.

Destan si avvicinò a me e io potrei ammirarlo mentre, come un leone affamato, avanzava silenzioso come un felino. La maglietta si piegava sulle anche e i pantaloni si stringevano sui punti giusti.

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