Elara versione stelt 2.0

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Ovviamente la mattina seguente la passai a vomitare anche l'anima dei vicini. Mi ero svegliata sul pavimento della cucina e mi ero accorta di essere rimasta lì per tutta la notte, non ricordavo bene come mai non me ne fossi tornata in stanza, fatto sta che avevo le gambe completamente congelate e intorpidite e una spalla che urlava tutto il suo dissenso.

Se non avessi avuto la testa che martellava come un trapano sarei perfino riuscita a sentirla gridare "Disgraziata, disgraziata!"

Poi, dopo essermi accorta di avere solo del formaggio grattugiato nel frigo (e averlo ingurgitato come la pattumiera che ero), avevo deciso di uscire e andare a fare la spesa prima di ritrovarmi senza più un soldo.

Avevo sperato che George mi chiamasse, implorandomi di tornare ma, ovviamente, non l'aveva fatto e io non potevo far altro se non rotolarmi nell'autocommiserazione.

Ovviamente avrei consegnato nuovamente curriculum in giro, sperando che qualche anima pia decidesse di assumermi, ma sapevo già che ci sarebbe voluto del tempo.

Tanto tempo.

Mentre la mia faccia era chinata sul water, avevo visto, nel riflesso dell'acqua del cesso, la mia vita sprofondare nella miseria e nella rovina.

In fondo me l'ero meritato, avrei dovuto fare attenzione e guardare solo il mio lavoro, invece mi ero fatta distrarre da altro e avevo combinato l'ennesima catastrofe.

Moreen mi avrebbe uccisa...

Moreen.

Così, sospirando, avevo tirato l'acqua per l'ennesima volta e mi ero rimessa in piedi, incrociando mal volentieri il mio sguardo allo specchio.

I miei occhi erano gonfi e due profondissime occhiaie brillavano del loro splendore sulla mia pelle leggermente abbronzata.

Sembravo la zia alcolizzata di qualche telefilm e, effettivamente, l'unica cosa a mancarmi erano i nipoti e poi sarei stata perfetta.

Così, uccidendo il mio riflesso con uno sguardo, mi sciacquai il viso sperando di lavare via anche quell'espressione stanca che mi si era stampata tra le pieghe del viso.

Nonostante mi fossi appena svegliata, avevo così tanto bisogno di dormire che quasi mi diressi verso il letto, poi però avevo sentito un languorino allo stomaco e avevo deciso di fare colazione, salvo poi ritrovarmi con un sacchetto di formaggio grattuggiato tra le mani.

Che tristezza.

Così la mia decisione di andare a comprare qualcosa da mettere nel frigo era stata praticamente immediata, soprattutto in previsione della povertà che incombeva su di me.

Sentivo già mia madre urlarmi di tornare a casa prima di ritrovarmi sotto i ponti...

Quindi afferrai i miei occhiali da sole, nonostante il tempo fosse grigio e spento, e mi infilai qualcosa di comodo, sperando di non incontrare nessuno tra gli scaffali del supermercato.

Quando uscii di casa, rimasi a fissare la porta di Destan, sperando che non si aprisse sotto i miei occhi. Non sarei stata nelle condizioni di parlargli e il mio aspetto da madre disperata mi faceva solo sembrare una malata di mente a piede libero per il palazzo.

Praticamente mi ritrovai a premere ripetutamente il bottone per chiamare l'ascensore, continuando a ripetermi "muovitimuovitimuoviti" finché le porte di metallo si aprirono e la luce dentro la cabina mi diede il benvenuto, gettando sul pianerottolo una fioca luce giallognola.

Il tragitto verso il supermercato fu abbastanza tranquillo, mi calcai il cappuccio della felpa sulla testa e inforcai meglio gli occhiali neri, sperando che nessuno riuscisse a riconoscermi.

Inspire MeWhere stories live. Discover now