Ventunesimo Capitolo

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Ho sempre avuto paura di ciò che non conosco. Non solo le persone, le cose, le strade... Ma anche le conseguenze...
Guardo quella pila di fogli che ho svogliatamente gettato sulla scrivania appena arrivato, buttandomi poi sfinito sul letto. Cosa accadrebbe se non firmassi? Cosa, se invece lo faccio?
Dubbi, incertezze avvolgono la mia mente.
Se non firmassi, probabilmente Levi-Mr. Ackerman scomparirebbe in un battito di ciglia. Non lo incontrerei più, non sentirei più pronunciare il suo nome, né ascoltare la sua voce o... Vedere il suo viso.
Sospiro portando il mio sguardo confuso sul soffitto pallido, sopra di me. Cos'è che devo fare?

Il telefono squilla all'improvviso, facendomi sobbalzare appena. Jean? Cosa vuole?
Rispondo velocemente, anche se la voglia di sentirlo nitrire al telefono è inesistente, come sempre -cosa?- mormoro scocciato, -Marco non può venire a darmi una mano... Tu potresti?- la sua voce da "gentile leccaculo" non mi sorprende, usata ovviamente solo quando ha bisogno di qualcosa.
Sospiro facendo notare la mia stanchezza, -amico, ti prego... Ho bisogno di una mano- la sua voce sembra disperata, ma se ha chiamato proprio me significa che è disperato sul serio.
-Va bene... Arrivo il prima che posso- con grande allegria e voglia di alzarmi da letto (sarcasmo) riattacco mettendomi seduto sul materasso. Sbuffo passandomi una mano fra i capelli, spettinandomi -e io che volevo rilassarmi- sbadiglio stiracchiandomi come un gatto sospirando nuovamente. Chi me l'ha fatto fare? Penso cercando di risistemarmi i capelli.

Vorrei avere una vita perfetta a volte. Sarebbe tutto facile. Hanji sarebbe felice, come Armin e tutti gli altri... Un modo c'è, no?
Guardo nuovamente il contratto sulla scrivania. Qual è il prezzo da pagare, mi domando. Concedermi ad un uomo che non... Non lo so...
In un modo così semplice potrei avere tutto.

Mi alzo ignorando questi pensieri, concentrandomi su altro. Devo aiutare Jean.
Afferro la giacca sistemata sopra il divano, accanto ad essa c'è Armin che fissa il vuoto quasi perso.
-Armin, sto andando al bar per dare una mano. Sto uscendo adesso- lo avviso sistemandomi la giacca. Armin alza lentamente la testa, incrociando i suoi occhi con i miei -quando sei tornato?- mormora con un filo di voce, evidentemente stanca.
-Un'ora fa circa...- sbuffo, a quanto pare non mi ha proprio sentito quando appena tornato a casa ho sbattuto per sbaglio la porta..
Mi passò una mano sul collo un po' stanco, ci sono volute delle ore per tornare a casa mia. -Jean mi ha chiamato e sto andando da lui- nessun entusiasmo invade né la mia voce né il mio viso. Sbuffo nuovamente -tornerò più tardi, spero- borbottò uscendo di casa.

Il bar è più pieno di quanto mi aspettassi,
Bene... Eren, buon lavoro. Così mi saluta la mia coscienza, mentre va a dormire beata.
Jean accorre verso di me, mi afferra per il braccio senza nemmeno salutarmi o ringraziarmi e mi porta con se. Mi fa entrare in bagno e mi lancia dei vestiti -sono di Marco, vedi di non sporcarli, altrimenti sei licenziato- nitrisce per poi chiudere la porta, lasciandomi da solo. Evidentemente il suo cervello ancora non funziona tanto bene... non lavoro qui, non può licenziarmi.
Almeno i neuroni li ha, anche se non tutti e non vanno nemmeno d'accordo. Quelli mancanti non li ha persi, se ne sono andati.
Lascio perdere le parole di quel cavallo, cambiandomi in fretta ed iniziando il mio turno che probabilmente non finirà mai.

Non so con quale forza Jean e gli altri lavorino così tanto il venerdì sera. Probabilmente lui e Marco non hanno finito con gli spinelli, forse sono quelli a dargli "energia".
Lascio perdere pulendo il bancone, sento la porta aprirsi ma non alzo nemmeno lo sguardo -siamo chiusi...- mormoro. -Oh mi scusi, speravo di non diventare una seccatura se ordini semplicemente qualcosa per ricaricarmi... Sa, ho lavorato tutto il giorno- lascio perdere il bancone per un secondo, alzando lo sguardo verso il ragazzo che è appena entrato. La prima cosa che noto è il taglio particolare dei capelli, mi ricorda tanto quello di qualcun altro. I lati della testa sono rasati, mentre le punte delle ciocche castano scuro vengono tirate su, sicuramente da qualche sorta di gel. Sorride, e lì noto la mascella bel allineata..
Mi guardo attorno, notando la macchinetta del caffè vuota -mi dispiace, ma abbiamo finito il caffè- scuse, qualsiasi scusa pur di non lavorare ancora.
-Beh, avrei preferito una tazza di Thé nero addir il vero- sorride ancora, in modo più dolce facendo notare appena delle piccole fossette sulle guance.
Infondo è solo del thè, non ci vuole molto per prepararlo -d'accordo- mormorò richiamo il sorriso del giovane.

Il ragazzo si siede davanti al bancone, poco distante da me. Sento che mi osserva, eppure quando cerco di coglierlo sul fatto lo vedo maneggiare qualcosa senza prestarmi un minimo d'attenzione. Forse, grazie a Mr. Ackerman sto diventando paranoico.
Lo vedo appoggiare la sua macchina fotografica sul bancone, prima non l'avevo notata -sei un fotografo?- domando curioso, mi è sempre piaciuto quel tipo di arte.
Lui alza il viso e mi guarda come se fosse appena caduto dalle nuvole, poi guarda la macchina accanto a se -oh, sì... Una cosa del genere- risponde in modo vago, magari fa ancora pratica con la fotocamera.
Noto che ha un nuovo rullino fra le mani, probabilmente deve cambiare quello vecchio.

-Hai delle foto interessanti li dentro?- gli chiedo poggiando la tazza davanti a lui. Dopo la mia domanda, lo sguardo del ragazzo si raffredda mentre si trova sotto i miei occhi.
-Nulla di che...- mormora, incrociando nuovamente i miei occhi facendomi sprofondare in quelle pozze nere -sono foto 'intime'- la sua voce fa intendere che non sono affari miei di cosa ci sia lì dentro. E beh, meglio non sapere.

-Scusami per il mio modo scortese... Ci tengo molto a questa fotocamera, è un regalo- mi sorride -sai, me l'ha regalata la persona che amo... E che amerò sempre, anche se non c'è più- la sua voce cade in una sottile "depressione" mentre, probabilmente, la sua mente viene invasa dai ricordi.
-Mi dispiace...- mormoro riconoscendo quasi quello sguardo, triste, come quel di papà quando divorziò con la mamma.
-oh, non preoccuparti... Marco...- legge il nome sulla targhetta della giacca -Prima o poi tornerà da me- torna a sorridermi in modo sincero, -il mio nome non è Marco- ridacchio -sono Eren... Questa non è mia- indicò il completo che mi ritrovo addosso. Lui mi porge la mano -Riumi- gli afferrò la mano stringendola.

Chiudo il negozio mentre Riumi mi parla di uno dei tanti posti che ha visitato -Parigi è bellissima in ogni stagione, perfino d'autunno- confessa, -direi che sei stato un po' ovunque- lo guardo con ammirazione, desiderando di fare almeno metà di ciò che ha fatto lui.

Sʜᴀᴅᴇs Oғ Yᴏᴜ • Sfumature Di Te • ERERIWhere stories live. Discover now