Capitolo 3

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"Mi sorprendo che non abbiate opposto resistenza, signorina Stevens," enunciò il giovane Wilkinson, camminando lentamente, le mani congiunte dietro la schiena e lo sguardo alto ad ammirare le distese erbose del Bedfordshire.
"Non capisco davvero a cosa vi stiate riferendo."
"Alla passeggiata. Ero sicuro non avreste accettato." Egli si voltò a guardarmi, lo sguardo sembrava nascondere qualche suo pensiero recondito.
La luce di un primo pomeriggio di primavera illuminò il suo volto ed il verde dei suoi occhi sembrava competere con quello della natura attorno.
"Oh, così sicuro della cosa e tanto determinato a chiederne ugualmente il piacere..." sibilai. "Ma perchè mai, signor Wilkinson?" domandai, mentendo. Mi chiesi con quanta astuzia fosse riuscito a capire quali fossero le mie vere intenzioni, ed esse non implicavano affatto una passeggiata in sua compagnia.
Tuttavia potevo contare sulla presenza dei luoghi a me cari che, in quel momento, mi donarono una tale forza di volontà che decisi di apparire scaltra ma riservata.
"Non mentitemi," aggiunse lui, socchiudendo le palpebre. "So riconoscere molto bene lo sguardo sincero di una fanciulla, e questo non è il vostro caso." Il suo tono di voce divenne profondo, ed un inusuale brivido percorse la mia schiena.
"Oh, sembrate sempre così attento alle situazioni femminili..."
"È così," affermò, mentre si ricomponeva. "Per questa ragione ho capito che voi non provate simpatia nei miei confronti." Il signor Wilkinson tornò ad osservarmi, ma nel suo sguardo non v'era alcuna traccia di rimprovero, bensì una certa ilarità che lo rendeva ancor più enigmatico di quanto non lo fosse già.
Mi stupii della sua perspicacia, ma non mi arresi dal ribattere. "Ma, signore! Come potete dedurre tali aspetti, se non conosco neppure il vostro nome?"
Egli ridacchiò, infilando le sue dita nella chioma di capelli corvini. "Credo che lo sappiate. Signor Wilkinson."
"Non vi burlate di me. Il vostro nome non è affatto il medesimo di quello con cui vi chiamano in società, è piuttosto un appellativo molto personale, che rifletterà sicuramente parte della vostra anima."
Lo notai tacere colpito per qualche istante,riflessivo; poi schiuse lentamente le labbra con uno schiocco sonoro. "Non siete affatto arrendevole come speravo." Spostò lo sguardo verso di me. "Mi chiamo Bradley."
Mi sedetti al cospetto di un'enorme quercia che sostava imponente al centro di una verdeggiante radura e, nell'ombra, potei osservare meglio come la sua figura apparisse slanciata e robusta.
"Vedete? Il vostro nome rispecchia perfettamente la vostra personalità."
Bradley, con le mani infilate nelle tasche dei calzoni, si avvicinò, e ben presto trovai dinanzi a me solamente il tessuto lucido delle sue scarpe, finchè egli non si chinò, fissando le sue perle verdi nei miei occhi.
Riuscivo ad avvertire il suo respiro sulla pelle.
"E..." Si passò la lingua sulle labbra, "come definite quest'ultima?"
"Lacerata."
"Lacerata?" Si sedette perplesso al mio fianco, la schiena poggiata contro il tronco della quercia, e un braccio sulle ginocchia.
"Sì, lacerata. Come potete pensare che sia integra un'anima il cui unico scopo è l'adulazione delle belle donne?" spiegai. "Credo sia sinonimo di mondanità quanto avete affermato a tavola."
"E io ammiro il vostro tentativo di controbattere, pertanto dovrei chiedervi..." Staccò uno stelo d'erba e se lo portò alle labbra, rigirandolo tra i denti, "quanti anni avete?"
Risi. "Intendete forse misurare la mia maturità?"
"Nient'affatto."
"Sedici."
Egli inarcò le sopracciglia. "Devo ammettere, a questo punto, che credevo foste meno eloquente per la vostra età."
Alzai gli occhi al cielo. "Avete una così scarsa opinione delle donne, signor Wilkinson, che sono costretta a rimproverarvi!"
Lui allargò le braccia, chiuse gli occhi e scrollò le spalle, con noncuranza. "Fatelo."
"A questo punto sono io costretta a domandarvi quale sia la vostra età," dissi, piccata. "Vorrei catalogare la vostra sfacciataggine."
Avanzò. "Diciotto anni di sfrontatezza."
"Non è un vanto."
Mi sorpresi di quanto egli fosse giovane, eppure il suo volto rilassato e disteso doveva essere già un simbolo ovvio della sua etá.
Il signor Wilkinson rise, osservò la mia espressione adirata, prese tra le dita lo stelo d'erba che reggeva tra i denti e lo posò dietro il mio orecchio. "Forse riuscirete a cambiare la mia opinione riguardo le donne..." sussurrò, la voce grave. 
Le sue parole furono pungenti come aghi su una ferita non ancora cicatrizzata, pertanto mi alzai incollerita e decisi di non rivolgere lo sguardo a chi giudicava indirettamente il mio sesso, reputandolo debole. "Non posso ascoltare oltre."
Iniziai a camminare velocemente e il cappello che reggevo sul capo volò in balìa del vento, eppure non mi fermai, pur udendo il suo ciarlare ormai lontano.
"Sapete," gridò alle mie spalle. "in questi diciotto anni di esistenza ho appreso come siano particolarmente belle le donne infuriate."
"Questo non costituirà una valida scusante!" ribattei urlando, aprendo violentemente la porta di casa con una mano.
Pochi istanti dopo, giunse anche il signor Wilkinson e i presenti ci osservarono curiosi.
Notai mia madre, che reggeva in mano una lettera. "Allyson, è giunto or ora uno scritto per te. È da parte di Bethan Russel."
Quasi la strappai quando ricevetti la carta in mano, tanta era l'ansia di leggere le parole della mia amica.
"Bethan ci chiede se domani andremo a farle visita a palazzo." Richiusi la lettera, improvvisamente gioiosa. Il cuore mi batteva così forte in petto! Un raggio di sole in una giornata oramai andata fumante al vento!
"Bethan Russel?" s'intromise il giovane Wilkinson. "Alloggio nel suo stesso palazzo, per ora. È mia cugina."
Gelai.
Non era un piacevole destino. Non ero mai arrivata a reputare il fato tanto crudele come in quell'istante. Istintivamente, accartocciai la lettera tra le dita, tendendo la mascella in una linea visibilmente irritata, mentre le labbra si congiunsero rapidamente in una silenziosa imprecazione.
Il mio sorriso svanì nel dedurre di dover incontrare nuovamente il viso di Bradley Wilkinson.

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