12. Sabbia

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Ero appena arrivata nella mia casa a Roma.
Mi sembrava di non arrivare mai, ma nonostante il viaggio poco piacevole, finalmente ero arrivata davanti al portone del mio palazzo.
Schiacciai il pulsante per chiamare l'ascensore ed entrai dentro, controvoglia.
Entrai in casa e buttai le valigie per terra e andai dritta in bagno per farmi una doccia. Volevo cercare di lavare via i pensieri, anche se non ci sarei riuscita.
Non era quello il modo e sopratutto l'umore con cui volevo ritornare a Roma. Ero partita positiva, piena di carica per la nuova vita che mi aspettava e invece dopo neanche 3 mesi praticamente ero già con l'umore a terra per colpa di altre persone. Persone che forse era meglio non far entrare nemmeno nella mia vita. Eppure l'ho fatto, perché Niccolò mi ispirava fiducia, e per quel poco che l'ho frequentato mi faceva stare serena. È vero anche che nella sfortuna devo vedere la fortuna di non averci passato troppo tempo con lui, perché a quel punto ci sarebbero stati anche i sentimenti di mezzo e li si che sarebbe stato un vero e proprio casino riuscire a stare meglio. Ma nonostante ciò, erano passate solo poche ora dal fattaccio e quindi era inutile che mi facessi un discorso motivazionale, tanto in quel momento non sarebbe servito a niente.

Uscii dalla doccia, andai in camera e mi vestii. Mi ordinai una pizza, perché va bene essere tristi, ma la gioia del cibo non me la toglie nessuno.
Quando arrivò mi misi il cartone sulle ginocchia e me la mangiai nel mio balcone, con il cielo stellato di Roma sopra la mia testa.
Mentre mettevo in bocca l'ultimo pezzo di pizza sentii il mio cellulare squillare. Un numero che non conoscevo mi stava chiamando.
"Pronto?"
"Per favore non riattaccare, ascoltami." Quella voce la potevo riconoscere tra mille. Ma perché mi stava chiamando a quest'ora? Era mezzanotte.
"Oddio Niccolò, ma dal cellulare di chi mi stai chiamando poi?!" dissi scocciata.
Non capiva che era tutto ancora troppo fresco per cercare di aggiustare le cose, ero ormai entrata nell'ottica in cui pensavo non ne valesse la pena.
"Non importa, sono stato uno stupido ieri notte con quella ragazza. Mi dispiace, ero arrabbiato volevo farti un torto. Anche quando sei venuta a parlarmi in casa, ci ho ripensato dopo, ne ho parlato anche con Adriano e Gabriele e mi hanno detto anche loro che sono un coglione." disse parlando frettolosamente, come se sapesse che prima o poi l'avrei interrotto.
"Ah quindi ti ci volevano i tuoi amici per farti capire che sei stato un coglione? Da solo non ci arrivavi?" sputai acida.
"No! Non è quello il punto."
"No Niccolò, non è quello il punto. Il punto è che mi hai mancato di rispetto, senza motivo. Ma infondo chi se ne frega no? Tanto non eravamo insieme, era a malapena l'inizio di una frequentazione. Perché preoccuparsene così tanto?" era la rabbia a parlare.
"Ma perché dici così? Te l'ho detto a me piaci, mi dispiace se ho fatto il coglione senza motivo."
"Finito?" chiesi subito.
"Si, scusami ancor..."
"Ciao Niccolò, buona fortuna per tutto." lo interruppi subito. Sentii lui che provò a dire qualcosa ma non capii. Chiusi la telefonata e lanciai il telefono nel divano.
Quando una persona mi delude dopo una cosa di questo tipo ho bisogno del mio tempo per assimilare, mandare via la rabbia per poter avere una conversazione civile. Non riesco a provare rancore verso una persona, sono sicura che se questa conversazione fosse avvenuta una settimana dopo sarebbe andata in modo diverso. Ma c'era anche il pensiero che Niccolò non era un mio amico di vecchia data, non era un amore che durava da chissà quanto tempo e si poteva provare a salvarlo.
Non ne valeva la pena. Continuavo a ripeterlo a me stessa.
Cercando di convincermene.

Era ormai passata una settimana dal mio ritorno a Roma, e in quei 7 giorni non avevo fatto granché.
Oggi sarebbero dovuti tornare Marta e Riccardo, non avevo sentito nessuno, quindi non sapevo se in effetti fossero tornati o avessero deciso di prolungare le vacanze.
Mentre mi sedevo in balcone con una sigaretta tra le labbra mi squillò il telefono. Quasi con timore, vista l'ultima esperienza, presi il telefono e  guardai il nome sullo schermo: Jack 🧡.
"Ciao tesoro."
"Ciao Ale. Allora? Come stai?"
"Non male, poteva andare meglio. Tu?" chiesi.
Ignorò completamente la mia domanda "Ho visto Niccolò ieri notte. Mi sembra un po' spento. Non vi siete parlati ancora?"
"Mi ha chiamato la notte in cui sono tornata qua a Roma dicendomi che gli dispiaceva, ma diciamo che la conversazione non è proprio andata come sperava, forse."
"Mh capisco."
Il fatto che non mi chiese i dettagli della conversazione mi fece capire che avesse sicuramente parlato più nel dettaglio con Niccolò.
"Qualcosa mi dice che vuoi dirmi qualcosa." dissi.
"No, penso solo che magari potresti ammorbidirti un po' nei suoi confronti. Mi è sembrato davvero dispiaciuto, penso farebbe bene anche a te perdonarlo."
Quando Giacomo si esponeva nel dire qualcosa del genere, significava che le pensava davvero. Sopratutto quando si trattava di dirmi quando forse stavo esagerando.
"Ci sei?" mi risvegliò Giacomo dai miei pensieri.
"Senti Jack anche se così fosse, ormai è tardi. E sicuramente io non ho intenzione di cercarlo."
"Mh vabbè come vuoi tu."
Continuammo a parlare del più e del meno e ci salutammo. Non ebbi il tempo nemmeno di pensare che vidi nello schermo un messaggio da Marta.

Marta: "Ciao bambina, ho provato a chiamarti ma mi dava occupato. Siamo appena arrivati a casa a Roma, stavo pensando di venire da te. Non so verso che ora riesco a venire però."

Alessia: "Ciao baby, vieni quando vuoi tanto le chiavi le hai ancora no? Se non mi trovi in casa sono su nel terrazzo lo sai. Ci vediamo dopo."

Lei aveva le chiavi di casa mia, io avevo le chiavi di casa sua. Da sempre abbiamo sempre avuto una copia della chiave di casa nostra, per "non si sa mai". Forse era iniziato tutto perché eravamo troppo pigre per alzarci ad aprire la porta quando andavamo a casa l'una dell'altra. Ero felice di rivedere Marta, ero felice di poter vedere di nuovo una faccia a cui volevo bene.

Si era fatta ormai tarda sera e di Marta ancora neanche l'ombra. Tipico. Così mi affacciai fuori dalla finestra per fumarmi una sigaretta e la brezza estiva che mi accarezzava la pelle a le sfumature rosse del tramonto mi obbligarono ad andare su nella terrazza per godermelo come si deve.
Salii le scale e aprii il vecchio portone in ferro. Rimasi a bocca aperta. Uno spettacolo della natura. La vista dalla mia finestra non gli rendeva per niente giustizia. Così la mia bocca si curvò in un sorriso, per la prima volta dopo più di una settimana mi sentii serena, leggera, libera. Era questo lo strano effetto che mi davano i tramonti, chi lo sa, forse ero un'eterna romantica e ancora non lo sapevo.

Questo momento idilliaco si fermò di botto quando sentii il vecchio portone aprirsi.
Sbuffai e pensai che qualche altro inquilino si voleva godere il tramonto nel mio stesso posto.
Così mi girai senza dare troppo peso.
Non ci potevo credere. Sgranai gli occhi come se volessi riuscire a vedere meglio, per capire che quello che stavo vedendo non era frutto della mia immaginazione.

"Niccolò?" dissi con un filo di voce.

Del mio sogno la parte migliore  // Ultimo COMPLETATADove le storie prendono vita. Scoprilo ora