IV

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Lily Rose Deep, specialista in Neuropsichiatria, Rosemary Mental Asylum, Distretto di Chicago, Terra di Nessuno.

Uscita dal colloquio con Elliot Lemaze, mi incamminai nei corridoi bui del Rosemary, spinta da una curiosità incessante. Avevo un grande difetto, enorme, gigantissimo, che molto spesso mi aveva portato nei guai: era quella fame incessante di novità, quella curiosità così pericolosa, che ti sgranocchiava le ossa e quando aveva udito del sommesso chiacchiericcio, non avevo esitato a sgattaiolare tra i corridoi. Avevo bisogno di distrazioni, o il mio passato mi avrebbe travolto come un'onda, ricacciandomi prepotentemente sott'acqua.

Andrej Kirill Ivanov aveva creato una crepa nel muro eretto con anni e anni di sacrificio, e forse proprio per tale motivo avrei dovuto desistere dal psicanalizzarlo, ma non ci sarei riuscita, non dopo aver aperto un dialogo con lui. Per fortuna, il mio muro era ancora lì: solido, solo un po' ammaccato.

Ed era in momenti come questi che avevo la necessità impellente di confidarmi con mia sorella, ma da quando Ariel Audrey Deep fu data in custodia ad un'altra famiglia inglese, mi era stato categoricamente vietato di raggiungerla.

"Ariel..."

Mi massaggiai il petto al ricordo di quel viso paffutello e scesi le scale, non accorgendomi di essere arrivata dritta nel corridoio in cui vi era la cella numero sette. Mi appostai nell'ombra, perché avevo deciso di studiarlo, ma la sua voce lugubre risuonò nel corridoio e mandò in fumo i miei piani.

"Ti vedo, piccola dottoressa Deep."

Mi morsicai il labbro inferiore, indecisa sul da farsi. Come mi sarei dovuta comportare? Scappare a gambe levate, o cercare un approccio con il mio paziente? I miei piedi decisero di muoversi verso il vetro e la mia fisionomia venne illuminata dalla luce fioca della lampadina del corridoio.

"Mr. Ivanov," salutai con una sicurezza che non era mia.

"Dottoressa." Si avvicinò con lentezza al vetro. "È molto tardi per lei."

Cercai di studiarlo, ma più lo scrutavo, più valutavo le sue azioni, più tutto quel quadro psichiatrico non aveva per me nessun senso: troppo perfetto, sembrava creato ad arte per rispondere ad un determinato obiettivo. Avevo trascorso le ultime ore su libri e libri di psichiatria dei medici più illustri, ma niente, niente di tutto quel blaterare confuso della sua cartella clinica poteva avere un senso.

"Cosa sta cercando?"

Sollevai gli occhi verdi e li incatenai in quelli ghiaccio di lui.

"La verità." Fui fin troppo onesta ed un mezzo sorriso gli curvò le labbra. "Nient'altro." Rimasi spiazzata dalla naturale bellezza di quell'uomo alto un metro e novanta. "Ho bisogno di capirti."

"Ed ha avuto qualche successo, fino ad ora?"

Fui certa che il timbro della sua voce fu come quello del serpente nel giardino dell'Eden: seducente, assolutamente colpevole e tentatore.

"A dire il vero, no." Mi toccai il crocifisso d'argento sotto la maglietta e quel contatto mi diede una parvenza di controllo. "A quanto pare perseguire lo scopo è difficile." Spostai lo sguardo per osservare la sua cella e quando non udii nessun commentino spiacevole provenire dalla sua bocca, mi accorsi che il mio paziente mi stava studiando con acuta attenzione. "Mr. Ivanov." Inclinai la testa, colpita dalla sua normalità. "Lei nasconde un segreto, non è così?"

La domanda mi scappò dalle labbra e la sua espressione divenne più cupa.

"Tutti noi nascondiamo un segreto, dottoressa Deep," sospirò, improvvisamente stanco. "Tutti, anche il più santo."

Pazzia | THE NY RUSSIAN MAFIA #2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora