VI

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Lily Rose Deep, 18:30, corridoio della cella numero sette, Rosemary Mental Asylum, Distretto di Chicago, Terra di Nessuno.

Era sbagliato, profondamente sbagliato, ma avevo paura a non obbedire. Mike non mi aveva recapitato un messaggio da Elliot Lemaze, ma un ordine che proveniva direttamente dalla cella di Andrej Kirill Ivanov, il detenuto numero trecento quarantasette e altamente pericoloso.

Il come fosse riuscito a recapitarmi il biglietto, ancora non lo avevo compreso a pieno, ma probabilmente a giudicare dalla sua appartenenza alla mafia, non mi risultava difficile credere avesse degli agganci anche all'interno di quel manicomio.

Non ero potuta rimanere al Rosemary per tutto il pomeriggio, avevo dovuto far combaciare l'impegno con Mike con questo e quindi avevo deciso di cambiarmi, correre al Rosemary nell'ora in cui gli psichiatri staccavano e poi ritornare a casa ad aspettare il mio appuntamento.

Come avevo immaginato, ormai l'Asylum era per lo più popolato dagli operatori delle pulizie, che non prestavano per nulla attenzione all'andirivieni dei corridoi, ma per scrupolo decisi di utilizzare i passaggi meno frequentati: non avrei mai voluto dover dare spiegazioni scomode a colleghi invidiosi.

Quando mi addentrai nell'area riservata al solo ed unico Mr. Ivanov, le mie gambe decisero che fosse giunta l'ora di liquefarsi sul pavimento ed il mio cuore di saltare fuori dalla cassa toracica. Con un grosso respiro di incoraggiamento sbloccai la porta, apribile unicamente dall'esterno, e sbirciai all'interno della cella buia e stantia. Non sarebbe stato un bel luogo per nessuno, ma per Mr. Ivanov, membro della mafia, probabilmente doveva essere ancora peggio, abituati com'erano a circondarsi dal lusso.

"Mr. Ivanov?" Chiamai con un sussurro, volendo evitare che qualcun altro che non fosse lui mi udisse. Non ero sicura delle disposizioni delle telecamere ed ovviamente le mie azioni in questo momento erano tutt'altro che irreprensibili: se il dottor Lemaze ne fosse venuto a conoscenza, non avrebbe esitato a licenziarmi.  "Mr. Ivanov?"

Iniziai ad agitarmi quando mi rispose ancora una volta il silenzio, interrotto solo dal gocciolio di acqua delle tubature.

Che non ci fosse? Che fosse riuscito a scappare? Che fosse una trappola? Ma poi dal buio un'ombra improvvisa mi sovrastò e chiuse di scatto la porta dietro di me.

"Dottoressa." Fu un saluto sibilato ed arretrai. "Ha ricevuto il mio messaggio."

Nel buio riuscii a notare che non avesse la camicia di forza e che quei due occhi azzurri brillavano come due gemme preziose. Deglutii, improvvisamente conscia di essere diventata il topolino bloccata nel gioco di un gatto molto molto affamato e curno, decisamente più furbo della sottoscritta.

"Mr. Ivanov, io-io come farò ad uscire da qui?" Allarmata, tentai di sgattaiolare lontano dalla sua prestanza fisica. "Si apre solo dall'esterno."

"Oh, il mio secondino sbloccherà la porta tra un po'." Potei giurare stesse sorridendo, ma non mi azzardai a sollevare lo sguardo. "Non preoccuparti, dottoressa, nessuno ti farà del male."

"Tra un po'?" Agitata mi portai una mano al petto. "Io non posso rimanere qui molto, ho un appuntamento."

La sua risata soffusa mi accarezzò la pelle come velluto nell'oscurità della cella.

"Oh, no, dottoressa." Appoggiò una mano contro al muro freddo della cella e mi incarcerò tra il suo corpo e la parete. "Tu non hai più voce in capitolo; da quando hai deciso di ficcare il tuo amorevole naso in ciò che non ti riguardava, hai segnato la tua condanna e come tutti i peccatori devi espiarla."

Il mio cervello andò in confusione e la mia mente si fermò su un altro tipo di peccato, decisamente più indecente. Scrollai la testa per schiarirmi le idee.

Pazzia | THE NY RUSSIAN MAFIA #2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora