5. "Vorrei essere un polpo"

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«Ti va se andiamo ci fermiamo a mangiare qualcosa?» Mi chiede Alex non appena rientriamo in macchina. «Sto morendo di fame e sarebbe una buona occasione per conoscerci meglio.»

So che ha ragione, ma ci sono vari motivi per cui vorrei declinare la proposta. La prima, Leah mi chiamerà a più non posso tra un po' per sapere come è andata. Se non l'ho spaventato io, sicuro Leah farà scappare Alex. Il secondo motivo è che ho una paura matta che ricadrà il silenzio imbarazzante che c'era in macchina prima, quando stavamo venendo in questo studio di avvocati. Ma come diavolo penso di sposarlo se ho paura di passarci del tempo insieme? Mi costringo ad annuire e a dirgli che per me va bene.

«Bene.» Alex mette in moto e io mi concedo di mettere un po' di musica. Cambio canale finché non trovo una radio che fa musica che più o meno mi piace. «Non ti facevo tipo da musica rock.» Mi dice dopo un po'. La verità è che mio padre e mia madre non ascoltano altro, per cui conosco solo canzoni di questo genere.

Inarco un sopracciglio e ridacchio. «Mi facevi un tipo da musica classica?» Una volta mia zia mi ha portato, oltre che ad un concerto di lirica. Non ho niente contro queste cose, le trovo molto colte, ma mi annoiano a morte. Non c'è da stupirsi se in entrambe le volte mi sono portata le cuffie, che ho coperto con i capelli, e mi sono messa a sentire la mia musica.

«No, quello proprio no.» Ride anche lui e gli chiedo perché, per semplice curiosità. «Non lo so, mi sembri troppo esuberante e particolare per ascoltare qualcosa di così calmo. E prima che lo domandi, è un fatto positivo, voleva essere un complimento.»

Non me la sarei di certo presa per una cosa del genere. «Grazie, so di essere meravigliosa.» Anche no, in realtà. Mi sposto i capelli su una spalla per imitare chi se la tira e Alex ride nel vedere il mio tentativo andare completamente in fumo. Non so proprio farlo.

Dieci minuti dopo abbiamo parcheggiato e stiamo entrando in un pub molto carino. Non ci sono mai venuta, ma Alex sì, dato che saluta il cameriere che ci accompagna a tavolo. «È uno dei miei posti preferiti.» Mi spiega, appena ci sediamo l'uno di fronte all'altra.

Gli sorrido ed osservo il menù. Oggi mangerò come una balena, per l'ansia sto morendo di fame. Tanto vale che Alex inizi a sapere che mangio tanto, dato che teoricamente ci sposeremo. «È molto carino.» In stile americano: pareti scure e tantissime foto e oggetti appesi al muro. Il nostro tavolo è a due e siamo seduti su dei divanetti rosso scuro.

«Sono contento che ti piaccia.» Alex si schiarisce la voce. «Allora, Penelope, come vuoi dire che ci siamo conosciuti?» La sua domanda mi lascia alla sprovvista. Vuole davvero che io decida cosa dire agli altri sulla nostra "relazione"? Sarà anche uno sconosciuto, ma ogni volta che parliamo mi sembra sempre più gentile.

Ci penso un attimo prima di rispondergli. «Magari possiamo dire la verità, solo anticiparla di qualche mese.»

Alex annuisce. «Cinque mesi, magari. Ed evitiamo di dire che era nel pieno della notte. Era pomeriggio, mi si è bloccata la macchina davanti casa tua, tu mi hai aiutato e per ringraziamento ti ho portato a cena fuori. Ci siamo accorti di avere molte cose in comune, ci siamo innamorati e mi sono proposto un paio di giorni fa perché nessuno dei due crede necessario aspettare anni per sposarsi. Che te ne pare?» Gli dico che va bene, incapace di aggiungere altro. Se fosse la trama di un film o di un libro me ne innamorerei all'istante, mi piacerebbe il fatto che il ragazzo si ferma davanti la porta della tizia quasi per destino. Invece, a sentir parlare Alex, penso soltanto a quanto saremo stronzi a fingere con gli altri e ad illuderli, partendo dalle nostre famiglie.

L'impiccione seduto davanti a me sorride e appoggia una mano sulla guancia. «Penny.»Dice il mio soprannome, quasi a testarlo. «Parlami un po' di te.»

Quando l'amore bussò alla mia portaWhere stories live. Discover now