14. "Bacio della buonanotte"

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Per tutto il resto del giorno non parlo con quella faccia da broccolo, in più scopro che anche se fa un freddo cane in giardino la piscina ha l'acqua, perciò mi ritrovo la sera con i piedi immersi in quest'ultima e una coperta avvolta intorno al corpo per non congelarmi dalle ginocchia in su.

Ormai non sono più arrabbiata con Alex per quello che ha detto, o meglio, lo sono ancora, ma sono più che altro anche triste e consapevole che ha ragione su tutto quello che ha detto. Per questo ho deciso di andarmene domani e di affrontare i miei problemi senza scorciatoie. In realtà volevo non tornare proprio qui, ma non voglio lasciare da solo Pumba. In più ho tutte le mie cose qui, perché sono un'idiota.

Leah si è anche offerta di picchiare Alex, non appena si è resa conto che ero triste per colpa sua, ma ho insistito affinché non facesse proprio niente. Non perché voglia proteggere lui, semplicemente non voglio che la mia migliore amica si rovini una giornata che potrebbe essere bella per colpa mia e di quel cretino.

Non mi giro neanche quando sento dei passi. So a chi appartengono, purtroppo. Alex si sfila le scarpe e immerge anche lui i piedi nell'acqua. Non gli rivolgo la parola, ma lui non è della stessa idea. «Vedo che hai scoperto la piscina.» Dovrebbe essere una battuta? Perché non mi fa ridere, né sorridere. Continuo a guardare davanti a me, quasi lui non ci fosse.

Dico quasi perché purtroppo il mio corpo sa più che bene che è vicino. E forse questo spiega perché il mio cuore stia andando come una mitragliatrice. Quando mi decido a dire ad Alex di allontanarsi, perché non ho voglia di stare con lui, inizia a parlare. «Mi dispiace, Penelope. Non volevo dire davvero quelle cose. Ero nervoso e mi sono comportato come un bastardo. O uno stronzo, o un pezzo di merda. Non so neanche più come insultarmi.» Sospira, passandosi una mano tra i capelli. «Ma l'ultima cosa che volevo fare era ferirti.»

Apprezzo che abbia avuto almeno la decenza di chiedermi scusa, ma questo non cambia le cose. «Non importa, avevi ragione.» Solo ora mi permetto di guardarlo. «Per questo domani me ne vado.»

Cambia completamente faccia. Da ferito passa a sorpreso, mentre mi guarda negli occhi nel tentativo di capire se sono davvero seria. «Cosa?»

Faccio spallucce e ritorno a guardare i miei piedi. «È stato ridicolo anche solo pensarci, Alex. Non è giusto che tu mi aiuti così, e a quanto pare non riuscirai ad avere l'azienda di tuo padre per questo fidanzamento.»

A stento trattiene un'imprecazione. «Che si fotta pure l'azienda di mio padre, Penelope, io non voglio che tu te ne vada.»

Non so neanche come dovrei interpretare questa frase. «Forse avresti dovuto pensarci prima.» Sto per alzarmi, ho già messo i piedi fuori dall'acqua quando Alex poggia una mano sul mio ginocchio. Le sue dita affusolate sfiorano la mia pelle, facendomi venire un brivido.

«Puoi sentire soltanto per due minuti quello che ho da dirti? Poi potrai andare, se vorrai.» Ha la voce roca, triste. E la verità è che con questo Alex non vorrei andarmene, vorrei abbracciarlo e dirgli che non ho mai passato settimane migliori, ma il mio orgoglio me lo impedisce. Oggi mi ha ferito, mi ha detto delle cose orribili.

Annuisco e infilo nuovamente le gambe nell'acqua, per il freddo. Non so cosa aspettarmi da questa conversazione, so solo che il mio finto fidanzato ci mette un po' prima di parlare. Mentalmente si starà preparando un discorso, o forse sta cercando il coraggio di aprirsi con me. «Ti ho detto che mia madre è morta, ma non ti ho mai detto perché odio tanto mio padre. Le due cose sono più o meno collegate.»

Ha un brivido, non credo per il freddo, ma gli metto comunque sulle spalle una parte della mia coperta. Lui mi sorride, ma al contrario delle altre volte è un sorriso triste. «Eravamo la famiglia perfetta, una volta. O meglio, agli occhi degli altri lo eravamo. Io e mia madre siamo sempre stati molto uniti, mentre c'erano periodi in cui mio padre era sempre presente e altri in cui scompariva per giorni, senza neanche telefonare o avvisare che stesse bene. Ho scoperto a sedici anni che papà era dipendente da gioco, e che stava utilizzando tutti i soldi dell'azienda per questa sua pazzia. Così mia madre ha utilizzato tutti i suoi risparmi per salvare l'azienda e salvare, in un certo senso, me.»

Quando l'amore bussò alla mia portaWhere stories live. Discover now