28. "Ho mentito per tutto questo tempo"

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Il giorno dopo mi faccio coraggio e decido di andare a casa dei miei genitori. Ho i sensi di colpa e dire la verità mi farà sentire meglio. In più, potrebbe essere il mio modo per chiudere definitivamente la questione di Alex.

Quando arrivo, Rafael e Cassandra sono già lì. I bambini stanno giocando in giardino, perciò chiedo se possiamo parlare in soggiorno. Mia madre mi guarda confusa non appena ci sediamo. Loro sul divano, io sulla poltrona di fronte. Sarà da masochista, ma voglio leggere la delusione nei loro occhi quando si renderanno conto che ho praticamente venduto la mia libertà per un ristorante fallito. «Dov'è Alex? Credevo che ci sarebbe stato anche lui.» Chiede mia madre, corrugando la fronte.

Il mio cuore sta per spezzarsi, ma rispondo lo stesso. «Non verrà. Ci siamo lasciati.» Non specifico che io ho lasciato lui, perché dovrei spiegare anche perché. E non mi va di metterlo in cattiva luce più di quanto io non stia già per fare.

Cassandra sembra sconvolta. «Quando? Penny, mi dispiace tantissimo.» Se solo sapesse che ho pianto davvero tutta la notte e stamattina sotto la doccia probabilmente oltre il dispiacere penserebbe anche che sono patetica. Perché è così che mi sono sentita tutto il tempo. Come se non avessi il diritto di sentirmi a pezzi, perché sapevo dall'inizio che non eravamo niente.

Mi stringo nelle spalle, cercando di mostrare indifferenza, ma la mia voce mi tradisce. «Ieri. Ma non vi ho chiesto di vederci per questo.» So che mi odieranno o, per lo meno, si arrabbieranno tantissimo. Ed il pensiero di perdere anche loro mi uccide. Ma i sensi di colpa mi stanno mangiando viva e, forse, tra qualche mese riusciremo tutti a lasciarci alle spalle questa storia. «Io e Alex non siamo stati davvero onesti con voi. Con nessuno, in realtà.»

Mi guardano confusi, così spiego come ci siamo conosciuti. Non dico più che era una giornata di estate, ma dico la verità: solo un paio di mesi fa. Racconto di come lui è tornato a trovarmi, del mio ristorante in bilico di fallimento, di Alex che propone il piano e io che accetto. E poi di quello stupido contratto. Infine, racconto anche di come siamo diventati amici, e poi di come ho iniziato a provare qualcosa nei suoi confronti. Ma non ometto la verità. Lui non prova lo stesso. È difficile dirlo, soprattutto ad alta voce, ma è così. Anche se un minimo tiene a me, o comunque dice di amarmi, non credo proprio che sia lo stesso che provo io. Perché non mi sognerei mai di andare a letto con qualcun altro, anche se lui mi avesse fatto male.

«Ci stai dicendo...» Inizia mia madre, sconvolta, appena ho finito di parlare. Cassandra sembra mortificata, forse perché pensa che avrebbe dovuto accorgersene. Ma non la biasimo: siamo stati bravi attori. Così tanto che ho ingannato me stessa in primis.

Annuisco. «Che ho mentito per tutto questo tempo, sì.» Sfioro il dito su cui una volta c'era il mio anello di fidanzamento e sento un vuoto al petto quando mi rendo conto che non c'è. Ci ero così abituata che era diventato parte della mia quotidianità. Mi svegliavo, vestivo e lo indossavo. Ed era anche l'ultima cosa che mi levavo prima di andare a dormire.

Ho le lacrime agli occhi, eppure non sto ancora piangendo. «Mi dispiace tanto. Non so cosa mi è preso quando ho firmato quello stupido contratto, ma non volevo perdere il mio ristorante.» Mia madre si alza e mi viene ad abbracciare, così forte che per un attimo non riesco a respirare.

«Avresti potuto e, soprattutto, dovuto parlare dei tuoi problemi con il ristorante.» Ha la voce dolce, ma so che è arrabbiata e si sta trattenendo dall'urlarmi conto solo perché sto per piangere. «Ti avremmo aiutato, Penelope, e ti aiuteremo adesso, dato che da quel che ho capito Alex non ti aiuterà più. E comunque sarebbe sbagliato che se ne occupi lui.»

Annuisco, incapace di dire che ha ragione o qualsiasi altra cosa. Poi mi riprendo, giusto perché non voglio fare lo stesso errore due volte. «Grazie, mamma, ma credo di non voler l'aiuto di nessuno. Forse non era destino che io avessi il mio ristorante.»

«Quindi lascerai tutto per questo? Perderanno il lavoro anche Leah, Mika, Sabrina e tutti gli altri. Fallo almeno per loro.» Cassandra scuote lentamente la testa. «Io e Rafael possiamo aiutarti, davvero. Sei la mia sorellina Penelope, non devi sentirti in debito con noi.»

Questa volta non trattengo le lacrime. Sia per il sollievo del ristorante, sia perché mi manca Alex, anche se mi odio per questo. «Grazie.» Mia madre continua a stringermi a sé, ma questo non basta per farmi sentire meglio. Non sono mai stata una che si abbatte per le persone, certo quando perdo un amico ci rimango male, ma almeno so che ho dato il massimo in quella relazione. Con Alex è diverso, però. Con Alex sentivo che sarebbe durata, che ero felice davvero.

E quelle sensazione sono state sostituite da un enorme vuoto al petto. «Vado a casa, ora. Ho già importunato Leah abbastanza, devo portare Pumba da me.» Mi alzo, cercando di accennare un sorriso soprattutto in direzione di mia madre, che sembra la più preoccupata.

«Vuoi che ti accompagno?» Chiede papà, e anche Rafael si rende volontario. Ma voglio stare da sola, sfogarmi e piangere finché non sarò andata avanti.

Abbraccio tutti. «No, grazie.» Devono anche metabolizzare quello che ho confessato, anche se l'hanno presa meglio di come pensassi. Saluto i miei nipoti con un'alzata di mano sul vialetto di casa, tanto so già che Cassandra passerà in questi giorni con loro per farmi distrarre.

Leah non è in casa quando, perciò prendo semplicemente Pumba e le lascio un post-it dove la ringrazio, perché mi sembra più carino di un sms, e ritorno dopo tanto tempo a casa mia. Cerco di non pensare che è dove è nato tutto, provo a non pensare che in pratica qui io ed Alex ci siamo messi insieme. Ma stare in salotto è troppo doloroso, perciò salgo le scale e mi rifugio in camera. Apro l'armadio per mettermi qualcosa di più comodo, ma mi scappa un singhiozzo non appena lo vedo. Il mio abito da sposa. L'avevo messo qui in modo che Alex non potesse trovarlo, anche solo per sbaglio.

Sfioro il tessuto, con alcune lacrime che mi rigano le guance. Non posso credere di averci creduto davvero, come un'ingenua. Tiro su con il naso, mentre dentro di me cresce la rabbia. Verso i miei confronti, verso quelli di Alex e verso la vita in generale. Così prendo il vestito e mi dirigo in giardino passando dal retro, in modo che le persone non mi vedano dalla strada.

Prendo l'accendino e brucio il vestito. Le fiamme lo avvolgono, facendo scurire tutto il tessuto e distruggendolo. Lo guardo rovinarsi, proprio come Alex ha fatto con me. L'odore di bruciato mi pizzica gli occhi, ma non distolgo lo sguardo. E quando il vestito è ormai ridotto in sola polvere e le fiamme si sono spente, io mi sento meglio.

Quando l'amore bussò alla mia portaOù les histoires vivent. Découvrez maintenant