13. "Avevo ragione a chiamarlo faccia da broccolo"

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La mattina successiva ho un sorriso da un orecchio all'altro e neanche apro gli occhi che mi stiracchio, per poi allungare la mano e cercare Alex. Però sento solo lenzuola e cuscini, perciò apro gli occhi per cercalo. La sua camera è vuota.

Sbadiglio di nuovo e guardo l'ora dalla sveglia che c'è sul lato del letto del mio fidanzato. Sono le nove del mattino, praticamente l'alba per i miei standard. Mi alzo e vado ad aprire subito Pumba, ma sono sorpresa quando non lo vedo. Deve averci pensato Alex e non trattengo un sorriso. So che in pratica non è successo niente tra noi, ma è sembrato quasi voglioso di qualcosa in più quando mi ha appoggiato a sé per farmi addormentare. O forse sono io che sto impazzendo, contagiata da mia madre e dalla mia migliore amica. «Alex?» Lo chiamo, per vedere se è in casa. Probabilmente è andato in ufficio. Anche se lavora per l'azienda di suo padre lo evita il più possibile, infatti ha un ufficio tutto suo all'ultimo piano. Non ho idea di dove sia collocato quello di Arthur Torres e neanche del perché non scorra buon sangue tra quei due, ma non voglio forzare troppo la mano di Alex. È stato già tanto che mi abbia detto del suo incubo, ieri notte.

Passo la mattinata con Pumba e a mettere a posto la cucina di Alex. Quando mi sono trasferita qui il primo giorno ho principalmente messo in ordine la mia camera, ma ho sparpagliato i miei oggetti da cucina nei posti dove trovavo spazio. Ora che ho un po' di tempo ne approfitto per mettere tutto in ordine. Passo ore a riorganizzare la cucina, a mettere su una mensola apposita i libri con tutte le mie ricette e alle undici mi metto già a preparare il pranzo. Alex torna generalmente verso la mezza, per cui ho anche il tempo di apparecchiare e far trovare tutto pronto.

Soltanto che, quando ritorna a casa, non è come me l'aspettavo. Pensavo che mi avrebbe sorriso, ci saremmo guardati imbarazzati per come sono andate le cose ieri. Invece si sbottona l'ultimo bottone della camicia e sbuffa non appena chiude la porta dietro di sé. «Ciao.» Lo saluto, sorridendo. Sto cercando disperatamente di fargli levare quell'espressione esasperata dalla faccia. «Ho preparato il pranzo.»

Alex annuisce, sul suo viso non c'è neanche l'ombra di un sorriso, e la situazione peggiora soltanto quando ci sediamo a tavola. Tra di noi c'è un silenzio imbarazzante, uno di quelli che si creava soltanto all'inizio perché eravamo due sconosciuti in una brutta situazione. «Com'è andata la giornata?» Se inizio io la conversazione, magari, mi dirà perché sta così.

Alex smette di mangiare, posando rumorosamente la forchetta nel piatto. «Tu che dici?»

Mi mordo il labbro. Vederlo arrabbiato mi mette più in suggestione del previsto. È diverso rispetto a quando l'ho visto furioso per Arthur perché, quella volta, la sua rabbia era su di lui. Ma ora è me che sta guardando male e a cui rivolge le peggiori occhiatacce. «È successo qualcosa?» Chiedo, quindi, con tono cauto.

«No.» Borbotta Alex, alzando gli occhi al cielo. «Ed è questo il problema.»

So perfettamente a cosa si riferisce: suo padre non ha accennano ancora a dargli l'azienda e questo lo sta mandando in bestia. «Vedrai che Arthur cederà presto. È solo l'inizio, questo. Devi tenere duro.»

Alex assottiglia gli occhi e continua a guardarmi male. Ormai sto perdendo la speranza sul fatto che passeremo un pranzo tranquillo. Deciso quindi di non dire più niente, ma è proprio lui a complicare tutto. «Ironico che sia tu a dirlo, Penelope.»

E questo che diavolo vorrebbe dire? «Scusami?» Inarco un sopracciglio, smettendo anche io di mangiare. Non si merita per niente le mie tagliatelle di nonna Pina.

«Non hai voluto mettere il cartello "fallito" davanti al tuo ristorante come ogni comune mortale e, anzi, ti sei praticamente prostituita ad uno sconosciuto per salvarlo. Quindi, dimmi, perché diavolo dovrei dare ascolto a te?» Questo fa più male di ogni occhiata che avrebbe potuto mandarmi.

Sento il panico assalirmi nel petto. Ha appena detto una cosa orribile su di me. Mi alzo, facendo di proposito stridere la sedia. «Sei un bastardo.»

«Che novità.» Alza gli occhi al cielo e mi incammino verso il corridoio. Ma anche quando sono fuori la stanza riesco a sentire la voce carica di rabbia di Alex. «La prossima volta pensa al tuo ristorante fallito, rispetto agli affari miei.»

Stringo le mani a pugno e ci vuole tutto il mio autocontrollo per non fare retro front e dargli un pugno sul suo naso perfetto. Piuttosto, mi chiudo in camera e chiamo subito Leah. Risponde al terzo squillo. «In cosa posso esserti d'aiuto, mia dolce metà?» Scherza, ed odio il fatto che per colpa di Alex sul mio viso non c'è neanche l'ombra di un sorriso. Avevo ragione a chiamarlo faccia da broccolo, all'inizio.

«Siete ancora aperti al ristorante?» È Leah che si sta prendendo cura del mio lavoro, ultimamente, e le sono davvero grata per questo. Ma ora ho bisogno di smetterla di stare in questo posto che mi fa sentire fuori posto ed andare a casa mia. Il mio amato ristorante.

Potrà anche star fallendo come dice Alex, ma almeno amo quel posto e quel che faccio. «Sì, è solo l'una e ci sono già tre tavoli. Sabrina è felicissima. Va tutto bene? Hai una voce strana.»

«Sì, certo.» In realtà sto per mettermi a piangere, ancora non so se per la rabbia o perché so che Alex ha ragione. Ho rinunciato alla mia libertà per il mio lavoro, mi sto facendo mantenere da lui perché non so dire che ho fallito. Nel vero senso della parola. «Venti minuti e sono da voi. Vi dò una mano.»

«Penny, non ce n'è bisog-» Sta dicendo, ma la interrompo. «Sto arrivando.» Ribadisco il concetto prima di chiudere la chiamata e prendere la borsa. Ci infilo le cose essenziali e uscita dalla mia stanza vado a passo spedito verso la porta. Soltanto che Zeus non mi ascolta mai quando maledico qualcuno, e di certo non mi aiuta quando sono in difficoltà.

In corridoio mi imbatto in Alex, che si ferma quando vede la borsa e la giacca che ho sottobraccio. «Dove stai andando?» La sua voce non è più rabbiosa come prima, ma so per esperienza che se rimanessi ci rimetteremo a litigare. O meglio, lui ad insultarmi ed io a piangere silenziosamente in camera mia per questo.

«Vado a 'fanculo, Alex, dove altro dovrei andare infondo?» Lo sorpasso, alzando gli occhi al cielo, e dò una carezza a Pumba prima di uscire da questa maledetta casa. Magari potrei chiedere a Leah di dormire da lei stanotte. Mi sono dimenticata di prendere le chiavi di casa mia, quella vera, e non voglio proprio più tornare dentro per oggi. Sono sicura che alla mia migliore amica non importerebbe.

Entrata in macchina rilascio un sospiro di sollievo, ma corrugo la fronte quando appoggio le mani sul volante e noto che ho ancora l'anello di fidanzamento. Mi sono così abituata a metterlo che lo faccio in automatico ogni mattina, anche quando rimango semplicemente a casa. Sbuffo e lo sfilo, buttandolo in un angolo della borsa. In realtà, quello che dovrebbe andare a quel paese, è soltanto Alex. Eppure sono io quella che guida per tutto il tragitto con le lacrime agli occhi e una grande voglia di urlare, non lui.

Ve l'avevo detto che il dramma sarebbe arrivato prima o poi haha. Che ne pensate? Secondo voi perché Alex si è comportato così? C'entra forse qualcosa con la scorsa notte? 🤔

Quando l'amore bussò alla mia portaWhere stories live. Discover now