Prologo

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Dazai aveva sempre amato il mare.
Non aveva una motivazione per quel particolare quel tipo di amore.

Del mare amava tutto.

Le estati lontano dai genitori nella piccola casetta della nonna in riva il mare erano l'unico periodo in cui la sua vita riprendeva colore. Se i mesi più freddi passati in città tormentati dal padre, dalla madre, dai suoi tutori che dopo poco essere stati assunti abbandonavano l'incarico esasperati da lui e dagli insegnati privati stronzi e severi che provavano un insano divertimento a farlo lavorare e punirlo quando sbagliava, erano grigi, insipidi e vuoti; i mesi estivi erano un'esplosione di sapori, colori, odori e suoni.

Gli bastavano due giorni nella piccola casetta in riva al mare in compagnia dei nonni materni per tornare  a vivere.

Quella era un'abitazione non molto grande e semplice, in stile giapponese, non lontana dal mare. Era un insieme di poche stanze con grandi porte sempre aperte per fare entrare l'aria salmastra e pungente del mare e il vociare allegro e vivace degli abitanti di quel piccolo paesino di pescatori.

"Casa" era la parola che avrebbe usato Dazai per descrivere quel luogo così accogliente e che tanto amava.

Amava ogni singolo aspetto del mare: a partire dal gusto del pesce e l'odore di fritto che riempiva la casa mentre cuoceva accompagnato da un piacevole sfrigolio.
Amava il sole bruciante che gli arrosava appena le gote, gli scuriva la carnagione e lasciava sfumature bionde nei suoi capelli castani.
Amava anche tutti i suoni del mare: dal cicaleccio allegro e caloroso delle spiagge un po' affollate la domenica mattina, al rumore delle onde burrascose che agitate dal vento si abbattevano sulla riva giocando con la sabbia e modellando le rocce; dal rumore silenzio delle coste deserte rotto di tanto in tanto delle grida dei gabbiani alle voce ruvide dei pescatori che si scambiavano vigorosi buongiorno e i resoconti della giornata di pesca.

E poi amava l'odore del sale che gli si appiccicava alla pelle e ai vestiti, amava poter essere libero di andare dove voleva, parlare con chi voleva, imparare quello che voleva e soprattutto di essere chi voleva.

Non doveva indossare scomodi vestiti, fingersi educato e maturo, non doveva essere il ragazzo rigido ed mesto di cui i suoi genitori stavano facendo un uomo spento e vuoto.

Amava scappare dalla sua realtà immobile e fredda passando le sere nel pub del villaggio ad ascoltare vecchie storie di mare e pescatori, di dei ed eroi. Milioni di storie e versioni diverse. Bastava una sera a lume di candela, l'odore di alcool del locale e la voce roca di qualche marinaio per riaccendere la fantasia di Dazai che veniva puntualmente spenta al termine di ogni vacanza dall'acqua putrida in cui i suoi genitori cercavano di annegare tutto il suo essere.

Eppure ogni anno tornava in quella piccola isola dimenticata dal mondo e subito l'aria lo inebriava facendolo finalmente vivere. Amava tutto quello, ogni singolo dettaglio, anche il più fastidioso. Amava sapere che esisteva ancora un briciolo di umanità dentro e attorno a lui.

Di quelle estati aveva i ricordi migliori.

Ricordi che serbava dentro l'animo gelosamente per mesi come un tesoro in attesa di poter essere arricchito.

E quando nella grande casa dei suoi genitori si sentiva solo e la sua vita faceva troppo male lasciava che la mente, in cerca di conforto e coraggio, tornasse alle notti passate in riva il mare con i ragazzi e i giovani del villaggio attorno ad un falò, qualcuno suonava un ukulele, qualcuno desiderava imparare, altri cantavano e le loro voci salivano fino alle stelle insieme al crepitio della legna mangiata dal fuoco.

La voce di quel ragazzo era quella che ricordava meglio, nelle notti insonni passate nella villa dei suoi genitori, Dazai ne aveva esplorato ogni sfumatura, ogni cambiamento. Conosceva le sue cadenze e come avrebbe pronunciato ogni singola parola, sapeva quali canzoni avrebbe stonato, quella voce calda, e quali brani avrebbe eseguito perfettamente.
Come aveva esaminato la sua voce Dazai -per riempire momenti di noia- aveva esaminato il suo viso e il suo corpo. Era solo un ricordo, certo. Ma si trattava di un ricordo che non poteva dimenticare. Una memoria che aveva pelle chiara che col sole si macchiava appena di lentiggini e talvolta si bruciava, naso perfetto appena all'insù, labbra delicate, rosee e gentili, spesso imbronciate, un ricordo che aveva dita sottili ma forti, capelli perennemente spettinati di un colore rosso fuoco che con il sole parevano quasi brillare.

L'ultimo dettaglio di questa memoria che Dazai esplorava -amava infatti tenersi il meglio per ultimo- erano gli occhi. Chuuya aveva due occhi blu e profondi, due occhi che avevano lo stesso colore, odore e sapore del mare che Dazai tanto amava.

A. A.

Nanananana eccomi qui, sono tornata con una nuova storia che confido di finire.
Sì, sempre Dazai e Chuuya, sempre loro. Diciamo che sono la mia comfort zone. Questa è una storia un po' particolare e diversa dalla altre e proprio per questo mi sto divertendo un mondo a scriverla, spero per voi sia lo stesso a leggerla.

Spero il prologo non sia stato una palla.

Nonostante la scuola che in sto periodo è da suicidarsi più di Dazai cercherò di aggiornare al massimo ogni tre giorni.

Buona lettura e buona fortuna :3

Soukoku - The AnchorWhere stories live. Discover now