18 - Buono e delizioso come un procione

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Chuuya scesa dalla moto qualche casa distante dal manicomio.
Lì quasi tutti i palazzi erano disabitati, incrostati e distrutti dal tempo. Si incamminò con calma sistemandosi i capelli con una mano che con il casco si erano un po' spettinati.
Le scarpe che indossava avevano un po' di tacco e mantenere l'equilibrio e una camminata normale gli stava risultando difficile. Sospirò teso, stringendo la borsetta rossa che aveva a tracolla, dentro c'erano i documenti falsi che gli aveva dato Tachihara.

Lui si chiamava Julia, secondo Tachihara come nome somigliava a Chuuya e quindi se lo chiamavano con quel nome si sarebbe girato spontaneamente. Per il cognome invece ne avevano scelto un inglese piuttosto diffuso sia in America che lì in Giappone: Taylor.

Julia Taylor, un nome comune e banale, che non dava nell'occhio e non aveva nulla di particolare.

Fece un respiro profondo. Poteva farcela.

Arrivato al manicomio suonò ad una piccola porticina bianca, il luogo dove secondo Mori accoglievano i visitatori. Gli aprì dopo poco un giovane con un camice bianco, dall'aria troppo sorridente per uno che lavora in un posto del genere.

- Buongiorno signorina, entri pure. Come posso esserle utile?

- Salve, buongiorno.

Balbettò Chuuya con la voce più acuta che poteva.

- Sono qui per visitare il mio ragazzo, Dazai Osamu. La prego me lo lasci vedere, prima che lui venisse ricoverato qui stavamo per sposarci.

Aveva provato quella recita con Higuci almeno una decina di volte. Man mano che agiva si stava rilassando, l'agitazione e l'ansia si stavano trasformando in determinazione e adrenalina.

- Dazai Osamu, dite?

Chuuya annuì con una faccia preoccupata.

- Sta bene, vero?

- Certo, si trova nella parte dell'edificio dove i pazienti sono maggiormente seguiti e controllati, soltanto i parenti stretti possono entrare.

Chuuya lo guardò con una supplica negli occhi, che non era del tutto finta.

- E le promesse spose?

Il medico la guardò preoccupato andando a sedersi dietro un bancone, nella piccola stanzetta bianca in cui erano entrati.

- Certo, ma non voglio che venga spaventata da quello che vedrà. Mi rincresce sempre che signorine come voi vedano come il mondo sa essere crudele con certe persone.

Chuuya cercò di darsi un contegno:

- Davvero non si preoccupi, sono determinata a vedere il mio Dazai almeno un'ultima volta, da quello che mi hanno detto i suoi genitori è incurabile e non uscirà mai più di qui.

Il medico vedendo la tristezza nei suoi occhi le indirizzò un sorriso malinconico. Poi lo guardò annuendo:

- Va bene allora, ha un documento?

Chuuya armeggiò con il portafoglio di pelle che gli aveva dato Gin e passò all'uomo di fronte a sé i documenti falsi che Tachihara gli aveva fornito, sperando internamente che il medico non si rendesse conto della loro non autenticità.

Il dottore per cinque minuti buoni scrisse al computer, un'enorme scatola bianca posata sul bancone, poi restituì i documenti a Chuuya e si alzò.

- La prego di seguirmi signorina Taylor.

Condusse Chuuya per un lungo corridoio, il quale terminava in un piccolo studio, bianco e azzurro, dove seduti a delle scrivanie sparse per la stanza c'erano degli altri uomini in camice che lavoravano attentamente, leggendo da alcuni libri, firmando qualche scartoffia, o battendo rumorosamente i tasti di una tastiera di una macchina da scrivere.

Soukoku - The AnchorWhere stories live. Discover now