Capitolo 18

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Rhys

Rhys non tornava nella sua isola da anni, ma per quanto tempo fosse passato, la paura era rimasta. Paura che qualcuno finisse il lavoro iniziato da suo padre. Paura per Eirian, che avrebbe potuto essere uccisa per credere in dei diversi dal suo. Paura che i suoi unici amici -la sua famiglia- fossero morti. Paura di essere bloccato nell'isola che tanto odiava.

Il villaggio era silenzioso come una tomba. Solo un campanile in lontananza gli fece capire che non era totalmente disabitato, quello e l'invitante odore di cibo che impregnava l'aria. Il vento sapeva di fuoco e fuliggine, ma anche di ghiande e foresta. Rhys si guardò intorno, aspettandosi che qualcuno gli venisse incontro.

Erano due ragazzini fradici, sporchi di sabbia, pieni di tagli e soli come cani. Ma nessuno accorse, e nessuno gli aprì la porta quando pregarono per un letto caldo in cui dormire e un pezzo di pane.

Quando giunsero all'ultima casa erano stremati e infreddoliti, senza più voce per tutte le volte che avevano recitato la stessa frase.

"Vi prego, io e mia sorella siamo naufragati a pochi chilometri da qui. Tutta la nostra famiglia è morta, abbiamo perso tutto. Vorremmo solo un po' di cibo. La prego." implorò il ragazzo bussando sul legno con le ultime forze.

Le luci all'interno della casa si spensero, facendogli capire che, chiunque vivesse lì, non aveva intenzione di soccorrerli. Quando la donna aprì la porta, terrorizzata e tremante, Eirian sussultò per la sorpresa.

"Fate piano" sussurrò. "o sveglierete gli spiriti."

"La prego, vorremmo solo del cibo"

La donna scosse la testa, gli occhi traboccanti di terrore. Guardò la strada deserta come se si aspettasse che qualcuno -o qualcosa- arrivasse per portarla via. Rhys conosceva quello sguardo, lo vedeva ogni giorno allo specchio quando capiva che quella benda era come un bersaglio sulla sua schiena.

"Non posso fare niente per voi, ma c'è un convento in cima alla collina. Lì troverete riparo."

La porta si chiuse prima ancora che Rhys potesse ringraziare. Prese la mano di Eirian e la guidò lungo la stretta strada che conduceva fuori dalla cittadina. Era determinato ad andare avanti, non importava quanto gli facessero male le gambe o le ferite, voleva trovare un riparo prima che la notte avvolgesse la terra.

Il sole era calato da un pezzo e l'umidità si infiltrò nelle sue ossa a causa dei vestiti bagnati, ma il vento soffiava a loro favore e gli permise di scalare la collina in poco tempo.

Davanti a loro apparve un piccolo edificio antico in mattoni, le cui guglie si alzavano verso il cielo come lance affilate. Le ombre accarezzavano la facciata e le ampie bifore che lasciavano intravvedere l'interno, illuminato dalla luce dorata delle candele. Sul portone in legno di cedro c'erano intagliate delle scritte in una lingua antica e numerosi triangoli.

"Cosa significa?" domandò Eirian, le sue dita accarezzarono i contorni delle forme geometriche.

"E' il simbolo del nostro dio"

Nostro. Rhys aveva smesso di credere in quel dio nell'esatto istante in cui aveva perso l'occhio. Il dio misericordioso e amorevole di cui tutti parlavano non poteva essere lo stesso che condannava qualcuno per amare una persona dello stesso sesso. Rhys non poteva tollerare l'incoerenza di quella fede.

"Ha un nome?"

Rhys bussò violentemente con il batacchio a forma di colomba e si strinse l'arco contro il petto. "No, tutti lo chiamano solo Dio."

Eirian arricciò il naso, delusa dalla sua risposta e trattenne il respiro in attesa che un passo o del vociare sommesso rompessero il silenzio della notte.

Regno di Rovine 1Where stories live. Discover now