9

45 10 12
                                    

Al convento delle suore di clausura alla periferia di Torino le regole erano troppo rigide. Elena ci abitava dal 1942, dopo che la sua casa venne bombardata. Vagando per Torino, sporca, brutta e povera, capitò davanti a un grande edificio in mattoni. Le finestre di tutti e tre i piani avevano delle sbarre molto arrugginite. Era un convento di suore di clausura, l'ultimo luogo in cui Elena avrebbe chiesto ospitalità. Da piccola quelle suore la spaventavano, quando andava a scuola e passava davanti a una chiesa, notava che alcune di loro la guardavano finché non sarebbe svanita dalla loro vista. Ma quel luogo, durante la guerra, era l'unico in cui rifugiarsi. Le suore l'avevano presa, insieme a qualche altra donna.
Ma le regole, quelle le odiava... Alle diciannove doveva già essere chiusa in camera, insieme a qualche altra. Ma solo verso le dieci e mezzo andava a dormire, si lamentano tra di loro che a quell'ora avrebbero voluto uscire per andare al cinema, e invece qualcuna si ritrovava a leggere, altre discutevano fra di loro, ma anche così si annoiavano. Le suore proibivano l'entrata nel convento di certi libri come l'amante di Lady Chatterley o riviste di moda, prima fra tutte le riviste della Rinascente, definite dalle suore come strumento di consumismo. Eppure qualcuno riusciva a fare entrare certi libri e riviste, con metodi che non avrebbero mai rivelato. Dopo il cinema, si ritirò di norma in convento. Le suore, come sempre, l'accolsero con freddezza dicendogli che a breve avrebbero cenato. La camera dove dormiva la condivideva con altre tre ragazze. Le pareti erano di uno strano e indecifrabile giallo sbiadito. Sopra ogni letto vi era un crocifisso in legno e di fronte ai letti un grande e massiccio  armadio di legno intagliato con forme simili al rococò con quattro ante, di qui una mezza malferma e che cigolava appena la si apriva: quella era l'anta personale di Elena, dove custodiva misteri e idee di una giovane vita in bilico tra l'amore e la disperazione: uno di questi ultimi ricordi includeva lui: Gaudenzio. In una scatola teneva la lettera che gli aveva consegnato poco prima che partisse da Roma. Ogni sera la leggeva, naturalmente lontano dalle altre. Non aveva paura che la prendessero in giro, piuttosto che venisse tartassata di domande su chi era, come l'aveva conosciamo e bla bla bla. La notte piangeva, perché quell'uomo non le concedeva di aprirsi? Avrebbe dovuto raccontargli qualcosa di lui, questo pensiero si faceva sempre più forte giorno dopo giorno. Ormai nessuno poteva illudersi, dovevano rifarsi una vita. Lei doveva provarci, ma qualche passo avrebbe dovuto farlo pure lui. Mentre pensava ciò, la suora si affacciò alla porta e la chiamò: la cena era pronta, come sempre si aspettava della zuppa di ceci, unico alimento che Elena consumava da tre anni

                               
  
                              ******
Preparava qualcosa al volo da mangiare. Le sue capacità di cucina erano molto limitate, l'aveva già detto ad Elena: solo gli spaghetti erano inclusi nel suo vocabolario culinario. Avrebbe tanto voluto canticchiare qualcosa, non lo sapeva, ogni giorno non faceva altro che pensare a Patrizio. Quell' povero uomo era chiuso in una cella, pronto per andare alla forca, e nel frattempo lui non potè fare nulla che andare a Roma, ma senza incontrare un successo: solo il nome del carcere sapeva. Doveva farlo liberare subito, ormai il suo ricordo stava sbiadendo, non ricordava più che faccia aveva quell' uomo suo antico amico. E invece. Finì per compiere una rissa con uno strozzino malato di mente e incontrare una donna. Le donne. Nessun'altra avrebbe potuto sostituire sua moglie, ma Elena, ragazza buona e dolce, vittima dell'indifferenza di Gaudenzio, lo sapeva, ne era ben più che consapevole. Sapeva che lei lo amava e lui la amava, ma non riuscivano a distruggere il muro del silenzio, non riuscivano a confrontarsi, ma la priorità, pensò, era quella di cercare di liberare Patrizio, anche solo avere un incontro con lui. E poi si ricordò che aveva una donna che presto avrebbe dovuto sposare, di lei non sapeva nulla

Come sempre, le ragazze ospiti al convento stavano intorno al tavolo, assieme alle due suore più importanti. Tutti erano in piedi davanti il loro piatto fumante di zuppa di ceci, pronte per la preghiera. Le ragazze detestavano la suora badessa, una donna imponente, si sentiva estremamente cristiana, pregava con una voce tuonante e lanciava terribili occhiate a tutte. Per molte,  quell'ora rappresentava un inferno anche per via di ciò che la suora badessa avrebbe chiesto, era solita interrogare tutte, una a una su ciò che avessero fatto, e si soffermava pure a stare con coloro di qui sospettava. Con Elena non si spinse troppo in là con le domande, di lei si fidava, era grata, diceva alle altre di prendere esempio da lei, sempre pulita, ordinata e seria. Elena arrossì, abbassò la testa, mentre tutte le altre la guardavano con sguardi che se avessero potuto, l'avrebbero uccisa, li, davanti a tutti.
" Anna" esordì la suora subito dopo aver sciorinato i complimenti a Elena " tu, cosa hai fatto?"
Anna. Coetanea di Elena, in quei giorni era molto ansiosa, persa, non trovava il suo posto nel mondo. Come una bolla che non scoppiasse di gioia. Pensava che fosse stata la guerra a portarla in quello stato, i sei anni di guerra l'avevano abituata all'indifferenza, alla violenza. Aveva un fidanzato. Non lo trovava, questa era la causa del suo smarrimento. La notte non dormiva per lui.
" Anna" la richiamò la suora "ci sei oppure il gatto ti ha mangiato la lingua?"
" Cosa? Oh, tutto bene oggi, come sempre"
La suora sapeva che c'era qualcosa che non andava ma decise di passare oltre.

Ormai a mezzanotte tutti dormivano. Il convento, sempre silenzioso, di notte assumeva un tono misterioso, inquieto e sinistro scandito da uno strano vibrare proveniente da chissà dove. In quella stanza buia vi dormivano solo Elena e Anna, piangeva, cercava di sfogarsi con la sua compagna di stanza
" Ho paura... Non c'è la faccio più... Lo rivoglio con me" diceva intervallando delle lacrime
" Sono sicura che non gli è successo nulla"
" Ma è passato troppo tempo dall'ultima volta che l'ho visto. Ne sono sicura, qualcosa è successa"
Elena non riusciva a calmarla. Il blocco di condividere il pianto con lei era troppo forte.
" Elena, dimmi cosa devo fare"
Che fare? Non avrebbe mai immaginato di trovarsi in una situazione simile. Le prese le mani stringendole
" L'unica cosa che posso dirti" esordì dopo un lungo silenzio in cui alle due sembrò che qualcuno stesse per fare irruzione in camera " è di andare a denunciare la sua scomparsa"
Denunciare. Denunciare. Parola che rimase impressa per tutta la notte nella mente delle due

In pace e in conflittoOù les histoires vivent. Découvrez maintenant