26

23 5 4
                                    

A Roma arrivò dicembre e con sé tutto il freddo. Le temperature si abbassarono notevolmente rispetto alla debole ma dolce calura che ottobre e novembre avevano regalato. Il piccolo appartamento di Giorgio si trasformò in una cella frigorifera; i tre erano confinati nella cucina, avvolti da pesanti coperte rattoppate e una piccola stufetta che non scaldava un granché. Il tutto mentre la capitale era ancora intirizzita dal gelo e soffriva ancora per la guerra.
Il mattino di sabato 8 dicembre Giorgio prese dallo scantinato condiviso con altri, un piccolo abete che stava perdendo il suo colorito verde. Per un anno era rimasto buttato a prendere la polvere, inoltre non si reggeva completamente in piedi. Per supportarlo, i tre vi appoggiarono una sedia. Assieme all'albero, Giorgio aveva salito una scatola di cartone che contenevano delle palline, tutte rosse, e un piccolo presepe di marmo. Giorgio raccomandò ai due che, mentre era fuori a sbrigare alcune faccende, avrebbero addobbato l'albero. Uscì e i due rimasero soli nell'appartamento gelido è ostile.
"Non credevo facesse così freddo" dichiarò Elena abbassandosi a terra per aprire la scatola e ammirarne il contenuto.
"Pensa un po' che temperature ci saranno a Torino. Ricordo che di questi tempi qualche anno fa aveva addirittura nevicato"
"Oh, davvero. Non ricordo" Gaudenzio aprì i rami mentre Elena analizzava il decoro e allestiva il piccolo presepe sopra un cassettone. "Con Gloria facevi l'albero?" chiese. Subito dopo, però, si pentì della domanda che aveva posto. Come ti è venuto in mente, stupida.
Si sentiva idiota, ma non solo in quel momento preciso, ma con tutti quelli con cui era stato con lui. Probabilmente se l'avesse rivelato l'avrebbe sicuramente presa per pazza. Ma lei desiderava soltanto sapere, scavare nel suo cuore di uomo disperato e sfrecciare come un'auto da corsa su di lui.
Si girò per posizionare gli ultimi ritocchi e vide che stavolta, invece di appendere le palle all'albero, era seduto al tavolo.
Il gomito sul tavolo, la mano sul mento e gli occhi lucidi.
"Che ti succede?" chiese leggermente allarmata e si avvicinò a lui. trattenendo le lacrime.
"Con Gloria ogni festività non esisteva. Detestava fare l'albero, andare a messa. Odiava anche pasqua e ferragosto. Non capivo cosa non gli piacesse, prima di sposarla amavo festeggiare. Ma è come se in un certo senso lei mi abbia rovinato, non sono più quello di una volta. E io vorrei tanto farti conoscere il Gaudenzio di una volta" quando finì gli occhi erano pieni di lacrime pronte a sgorgare come fiumi.
Elena lo abbracciò.
"Ora però ci sono io, Gaudenzio. Se l'aldilà fosse una persona, io vorrei che fossi tu. Sai, prima di conoscerti ero senza certezze. Certo, lo sono ancora" gli prese le mani fredde e intrecciò le dita con le sue
" Uno come te non l'avevo mai visto. E anche se tra noi non ci sarà nulla, sarai sempre dentro la mia testa e dentro al cuore per il resto dei miei giorni, su questo non ci piove"

Entrambi scivolarono nella solitudine radicale dell'amore; quell'amore che loro aspettavano da mesi e che finalmente avevano trovato.
Elena portò la mano per accarezzare la guancia di lui.
"Tu sei una fortezza, e io sono la foglia tremante che ha bisogno di riparo" "No" uscì un no strozzato "no, tu si che sei una vera fortezza. Fino a un anno fa ero solo un uomo silenzioso costretto a subire le angherie della moglie. Mi vedo così sbagliato, così piccolo. Tu si che sei una forza"
Lei sorrise debolmente, si alzò e prese un fazzoletto per asciugarsi gli occhi dalle lacrime
"Sai? Quando ero arrivata a Roma e mi recavo qui ho visto un manifesto. Il 29 ci sarà la proiezione di un film, non ricordo quale, e poi si ballerà" sorrise "che te ne pare? Io direi di andarci, portiamo pure a Giorgio, non esce mai da qui"
"ballare non sarà il mio forte ... ma va bene, ci andremo" alzò la testa accennando un debole sorriso.
Lei ricambiò con uno sguardo profondo.

Nel primo pomeriggio finirono di pranzare e sparecchiarono. Gaudenzio si preparò per andare a trovare Patrizio.

"Certo che è veramente brutto trascorrere le feste in prigione" si lamentò l'amico "sono le mie prime feste al fresco. Non mi ha mai attirato il Natale ma chi come me non vorrebbe essere fuori da qui?"
I pochi minuti a disposizione vennero totalmente impiegati da Patrizio che notando che l'amico non aveva spiccicato parola, si spazientì. "Oh, potresti rispondermi!" sbottò. Gaudenzio, che fino a quel momento aveva la testa chinata, le gambe divaricate sulla sedia e lo sguardo perso nel pavimento, alzò di scatto la testa.
"Perdonami, pensavo ..."
"Stavi pensando a come farmi uscire, vero?" domandò con sguardo malizioso "arrivi tardi, c'è già il salvatore".
La sedia cadde a terra.
"E tu solo ora me lo dici? Ma quando?" "C'è questo dottore, tale Orsini. Un giorno è venuto a fare dei controlli e dopo qualche giorno ancora mi prelevò e mi fece portare a casa sua. E lì mi disse che voleva liberarmi dalla mia agonia ingiustificata"
"Ma questo dottore come ti ha scelto? Voglio dire, non è che va dal primo che capita e gli dice <ti scagiono>" Patrizio sorrise "Certo che quello è veramente strano. Un giorno è venuto qui a fare una visita a noi detenuti e tra tutti, incredibilmente, decide un mattino di portarmi a casa sua. Sapessi che casa ..." si alzò e si avvicinò a Gaudenzio " sicuramente in vita ne ha fatti di soldi"
"Li avrà fatti con il mercato nero" "Non credo proprio" distolse lo sguardo fissando la porta. " è un ebreo"
Gaudenzio rimase un momento interdetto, quasi come se fosse rimasto congelato.
"Sì" continuò l'amico anticipando un sospiro "sappiamo bene cosa hanno patito" si morse il labbro inferiore. "Non direi. Non siamo stati toccati dalla loro stessa sorte. Prima che venissi qui ho sentito che a Torino molti ebrei stavano facendo ritorno dai campi"
"Appena esci da qui, vacci. Dal dottore, intendo. Digli che ti mando io"
"Perché proprio io?"
"Ti sembra che possa uscire da qui? Vive in via dei Coronari, vicino a Trastevere. Vacci e parlagli, digli che ti mando io"
"E se non fosse in casa?"
"Oh, cielo!" Patrizio si mise una mano sulla testa "cavoli, tu vai. Se non provi che posso dirti, se non è in casa ci riprovi domani!"

Appena uscì da Regina Coeli si incamminò chiedendo, di tanto in tanto, indicazioni. Alla fine, dopo una buona mezz'ora di camminata,arrivò davanti al piccolo cancello che Patrizio gli aveva indicato.
Entrò nell'atrio. C'erano solo due bambini che stavano giocando a pallone e , quandolo videro, scapparono via, verso lo stanzino della portinaia. L'ascensore era vuoto, così prese le scale.
Era rimasto affascinato da quel fantastico corrimano color oro. Patrizio si era dimenticato di dirgli a che piano vivesse il dottore, così ispezionò tutti i campanelli del primo e del secondo piano,quando, al terzo, lo vide.
Orsini, è qui.
Quando suonò nessuno aprì. Dietro la porta si sentiva lo scalpiccio di dei passi e la porta si aprì lentamente a metà; l'apertura era interrotta da una catena disicurezza. E dalla piccola fessura lunga e stretta comparve il professore.
"Chi è lei?" chiese il dottore con una voce rauca.
"Mi manda Patrizio Zani ... vi conoscete, vero?"
Il dottore chiuse la porta per poi, un secondo dopo, riaprirla
completamente e far entrare Gaudenzio.
Quando fu nel corridoio, l'uomo chiuse la porta e lo condusse verso il salotto.
"Come mai Patrizio lo manda qui?" Gaudenzio ridacchiò
"A dire il vero non lo so neppure io, mi ha solo detto di venire da lei e parlarle"
"Saprà che Patrizio si trova in prigione"
"Si" ripose imbarazzato "l'hanno arrestato davanti ai miei occhi"
"E lei sa perché l'hanno arrestato?" "Per collaborazionismo con Salò. Ma ovviamente non ci credo"
"E come mai non vi crede?"
Il dottore fece accomodare Gaudenzio su una poltrona color porpora.
"Lui odiava il fascismo, nonostante fosse circondato da fascisti. Pure io ero fascista ma solo per finta. Dopo quello che successe nel luglio di due anni fa mi trasferii dalla parte della sinistra. Invece Patrizio no, lui sia alla luce che al sole, sia al buio, si professava un antifascista. Come non si beccò il confino non lo so" "Interessante ... e mi dica, secondo lei, chi può aver incastratoPatrizio?" "Questo non posso saperlo" si grattò la testa " durante tutta la guerra non lo vidi mai, lessi il suo diario. Ebbe una relazione con una partigiana"
"Una partigiana?" chiese Orsini scandendo bene il termine "Patrizio non me ne parlò. Mi disse che era antifascista, che agli inizi dell'anno si fidanzò con una ragazza, non ricordo il nome, una torinese, di averlo incontrato" gli punto il dito " dopo che la Germania aveva capitolato. Ma non approfondì il suo arresto, disse solo di sospettare chi forse l'aveva fatto arrestare"
"Le disse chi era?"
"No, lo definì un grande bastardo che si sarebbe dovuto prendere la forca al posto suo. Da come lo disse era terribilmente arrabbiato"
"Perché non me lo disse?"
Il dottore si strinse nella spalle e aprì un pochino la bocca, come per dire che non sapeva nulla. "Non le disse altro?"
"No"rispose Orsini alzando un sopracciglio per poi sospirare "ha avuto così tante pene, ma niente sarà paragonabile a ciò che ho vissuto io"

In pace e in conflittoWhere stories live. Discover now