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Quel giorno colui che aveva incaricato Giorgio di girare mezza Roma ad affiggere manifesti pubblicitari lo pagò. Non tanto, ma il giusto per acquistare qualcosa da mettere sotto i denti sì. E così, verso mezzogiorno, si recò in un mercato sotto il Colosseo dove acquistò del pane, una decina di cosce di pollo e del formaggio. Si sorprese tanto di aver trovato quei prodotti con tanta facilità, segno, pensò, che il mondo stava pian piano ritornando alla normalità. Con gli ultimi soldi rimasti prese pure un fiasco di vino che durante la guerra era diventato un prodotto di lusso sul quale qualcuno speculava aumentandone arbitrariamente i prezzi.
In quasi un ora Elena si mise davanti al cucinino e verso l'una e mezzo sfornò un piccolo e caldo pranzo. Fece cuocere la carne, nel mentre trovò due patate, le taglio in piccoli pezzi, le riscaldò un poco e una volta che la carne fu pronta, dispose questa su un vassoio e attorno vi mise i pezzetti di patate. Pensò pure che una fogliolina di rosmarino avrebbe ultimato per bene il tutto ma non ne trovò.
Alla fine mise il vassoio al centro della tavola che era stata apparecchiata da i due uomini che, sentendo il profumino delizioso, si recarono subito alle sedie.
"Generalmente a Natale si mangia il pesce" osservò Elena mentre prendeva un coltello per tagliare la carne.
"Fregatene delle tradizioni! Siamo in un mondo nuovo, non ci importa di queste convinzioni" rispose Giorgio. "A Natale in convento mangiavamo sempre pesce"
"Non penso sia dovuto a una questione cattolica. Forse è una nostra usanza popolare d'Italia" disse Gaudenzio in risposta.
"Non importa, mangiamo" esultò il cugino sedendosi a tavola, seguito dagli altri due. Vi fu prima una preghiera e allora iniziarono a mangiare.

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Verso sera Giorgio propose di uscire per andare a fare una passeggiata. Gaudenzio si sentiva stanco e non ne aveva voglia, Elena però, da quando era lì, aveva sempre desiderato visitare la città. Solo non si fidava molto del cugino e voleva che Gaudenzio uscisse pure.
Ma Giorgio l'aveva capita; voleva avere un poco di intimità con il cugino fuori dalle mura di casa dove, probabilmente, Elena si sentiva a disagio.
"Daje Gaudè, annà."
"Non ho voglia. Elena" la guardò "tanto tra pochi giorni andiamo al cinema, poi balliamo. Non ti basta?" "Beh, sì" inarcò le spalle "ma magari uscire un po', potremo abituarci alle strade ... insomma, neppure ti ho detto dov'è"
"Mi stai dicendo che vuoi fare questo giro solo per imparare la strada?"
"Sì, ma nel frattempo ne approfitto per visitare la città"
"Se vuoi divertirti a vedere delle macerie ..."
Lei mugugnò e incrociò le braccia sul petto "Che sei noioso, và!"
Giorgio ridacchio: "Vuoi uscire con me?" propose.
Ci pensò. Il suo intento era uscire con Gaudenzio, per lei il cugino era la brutta copia della sua ambizione. Ma passeggiare per le vie di Roma era un suo grande sogno e né lei, né Gaudenzio la conoscevano, solo Giorgio sarebbe riuscito a farla addentare nella città eterna.
"Sì" rispose lei alzandosi e mettendosi le mani sui fianchi " esco con te. Con i muli non si può ragionare, puoi solo sbatterti la testa sulla parete"

"Siamo veramente fortunati che non ci sia più la guerra e il coprifuoco" esclamò Giorgio una volta fuori. L'aria era fredda, pronta ad accogliere la neve e tirava del forte vento. "Veramente, una fortuna ..." aggiunse lei mentre sistemava meglio il colletto del cappotto nero che si era portata "posso?" chiese indicando il braccio destro di Giorgio; intendeva camminare sottobraccio con lui, che annuì.
Percorsero a piedi la via Tiburtina mentre all'orizzonte il cielo si tingeva di lunghe e accese striature arancioni e ben presto arrivarono al Colosseo. A vedere la bellezza dell'imponente edificio, Elena si sentì mancare, era veramente bello.
"Roma è questo" gli sussurrò il cugino di Gaudenzio " Roma è la città del Cupolone e delle basiliche, dei Fori, del Colosseo, i vicoli, gli scorci mozzafiato e dei belvedere sulla città" "Che bel pensiero. Sembri conoscere bene la città"
"Ci vivo da molti anni ma prima non la comprendevo. O meglio, non mi piaceva affatto ma era anche l'unico posto in cui avessi trovato un lavoro decente. Ho iniziato a capirla solo negli ultimi anni quando vagavo per le strade prima di trovare casa. Ho dormito dentro diverse cantine , in mezzo ai ratti morti, insetti e persone che si disperavano. E lì ho finalmente capito l'essenza della città"
"E quale sarebbe?"
"Che Roma è una città che ti travolge completamente, pensa che passato che ha avuto. Dobbiamo andare a vedere 'sto locale? Annamo!"
Dopo essersi recati a vedere il posto in cui si sarebbe tenuta la serata danzante, era una saletta in un locale a Pietralata, ritornarono a Tiburtino.

" Le chiese e tutti gli altri edifici belli li vedremo una seconda volta, quelli volendo te li puoi vedere anche in una foto. La Roma che molti non conoscono è quella della miseria e della povertà. Ti faccio fare un giro intorno al Tiburtino e oltre."
Iniziò così il loro lungo viaggio a piedi nella profondità della città. Le case avevano perso la loro forma originaria, erano bucate. Mancava l'acquedotto che era sostituito dalle fontanelle pubbliche. Le strade, nei mesi successivi alla liberazione del giugno 1944, erano state completamente sgomberate dalle macerie, per strada quasi nessuno aveva l'automobile, solo una bici. Le vie che percorsero erano costellate di pochi lampioni, uno acceso e l'altro no. Passarono davanti a un edificio rosa a due piani che prima della guerra, gli disse, era una scuola elementare che ora era occupata da diverse famiglie. I soli che animavano le strade erano i bambini che venivano da ambienti degradati, definiti sciuscià. Erano denutriti, sporchi, sovente non avevano neppure un cambio per la biancheria, senza scarpe.
"Orribile cosa debbono patire ..." osservò affranta Elena.
"Siamo forti e vogliamo un nuovo futuro, per me arriverà presto. Si è fatto tardi, dovremmo ritornare a casa"
In quel preciso momento stava sopraggiungendo verso di loro un camion. A bordo vi erano due uomini, Giorgio fece un gesto con una mano per fermarli. Il mezzo inchiodò sull'asfalto stridendo davanti a loro. dal finestrino di destra, quello del posto di guida, si affacciò un piccolo uomo senza denti che fissò i due. Aveva uno sguardo strano, quasi perso nel vuoto. Vicino a lui si avvicinò il passeggero che portava dei capelli ricci.
"Che volete?" chiese aspramente. "Potete darci un passaggio fino a Tiburtino III?" domandò.
"Salite" rispose.
Elena e Giorgio entrarono dalla portiera del passeggero che si schiacciò contro il guidatore per fare spazio ai due nuovi arrivati. Dieci minuti dopo vennero lasciati all'inizio di una salita, a pochi passi da casa.

"Sai, è da tempo che dovrei parlarti di una cosa"esordì Elena nel breve tratto che stavano percorrendo che li separavano da casa"mi riferisco a Gaudenzio. Sei suo cugino e lo conosci?"
"Ti piace?"
Arrossì."Un po'" poi fissò le punta delle sue scarpe "No, voglio dire, oddio, mammamia ..."si impappino ma alla fine riuscì a dire quello che voleva "sì, mi piace. E anche tanto" Giorgio ridacchio "Io l'avevo già capito"
"Si nota tanto?"
"Abbastanzada farsi due conti"
"Mi fa una pena ... voglio essere la donna della sua vita"
"Sposato è!"
"Ma la moglie è morta"
"Sempre sposato rimane"
"Secondo me un futuro potrei darglielo io. Posso essere la sua donna, dopo sua moglie che sarà sempre nel suo cuore"
"Mi sa che pure lui è cotto di te" "Tel'ha detto lui?"
"No,ma sono riuscito a capirlo da come vi guardate, da come parlate. Quando due sono innamorati si capisce subito. Dai Elena. Diglielo che gli piaci, che la vita non è eterna. Sì, se ti piace una persona diglielo che tanto si vede che vi piacete entrambi e vi state solo aspettando"
"S – stai dicendo davvero? Devo dichiararmi?"
"Perché no?" si girò e le sorrise " magari se vai a dirglielo domani siete già sposati"
Elena ruppe il silenzio ridendo a gran voce. In quel momento erano davanti al portone.

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