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I giorni passarono, Elena e Giorgio decisero che al momento non avrebbero denunciato nulla; non dovevano farsi prendere dal panico, si erano fissati una data di scadenza di due settimane, altrimenti sarebbero subito corsi in centrale. Arrivò l'epifania e durante la notte la neve scese fitta e coi suoi fiocchetti trasformò Roma in una fantastica città di panna bianca.

Tirava un vento fortissimo che faceva tremare la baracca in cui Gaudenzio giaceva. Si era svegliato per il forte ululato della brezza che sembrava non accennare a diminuire. Aveva mal di testa, non vedeva nulla e sentiva freddo.

Torino gli mancava terribilmente tanto; la sua casa, Elena, Giorgio e soprattutto ritrovare Patrizio visto che, a quanto pare, era riuscito a evadere.

Tastò un po' attorno ma la sua mano non toccò nulla. Allora si mise a pensare a tutti i suoi bei ricordi; quando era piccolo e la notte dell'epifania aspettava la vecchia che volava per il cielo con la sua scopa e che gli avrebbe portato dolcetti o carbone, a seconda di come si era comportato durante l'anno. Poche volte ricevette dolci, era sempre il solito carbone quello che usciva dal sacco. Con il tempo e diventando più grande, l'attesa della befana si spense fino a quando all'età di undici anni smise di crederci. Non era più un bambino, al padre serviva un aiuto nei campi e lui era quello migliore.

Diventando più grande e acquisendo più coscienza del mondo attorno e di se stesso aveva deciso di abbandonare la periferia ed entrare più nel dettaglio di quella città sconosciuta che era Torino e che, pur vivendoci, non aveva visitato tanto. Mentre pensava a questo, la porta cigolò. Alla pancia lo colpì un sentimento di panico e ansia che non aveva mai provato prima, le gambe avevano iniziato a tremare. Chi, se non Jacobi, era pazzo a venire a quell'ora della notte?

Il vento entrò con tutta la sua prepotenza, era gelido e il solo cappotto di Gaudenzio non bastava a coprirlo. La tempesta di neve entrò nella stanza imbiancandola mentre una figura spingeva contro la porta per entrare. Era oscurata ma era ben visibile un cappotto che ondeggiava liberamente assieme a una folta chioma di capelli che sembravano attirati tutti verso una sola direzione. Gaudenzio la guardò meglio; non era Jacobi, ma una donna.

Quale pazza si sarebbe sognata di affrontare una tormenta come quella? Era una vagabonda? Mentre la figura cercava di entrare, Gaudenzio capì chi era: Giulia!

Finalmente la donna riuscì a entrare e a chiudere la porta lasciando fuori il gelo e la neve. Sbuffò tre volte di seguito e mormorò qualcosa a proposito di una candela che si sarebbe dovuta trovare lì. Gaudenzio non vide nulla di quello che fece ma una piccola luce iniziò a diffondersi per la stanza rendendo tutti i contorni più chiari. La cosa che lo colpì maggiormente fu il fatto che Giulia avesse un paio di occhiali da sole. Per il resto non gli sembrò cambiata dall'ultima volta che l'aveva vista. Portava i capelli sciolti e indossava un lungo cappotto marrone che le arrivava fino alle ginocchia, da lì vi erano le sue nude gambe. Vedendo Gaudenzio sorrise.

"Tu che ci fai qui?" chiese fievolmente. Non sapeva se essere felice che si trovasse lì o rammaricato perché era la donna di Jacobi.

"Potrei farti la stessa domanda" rispose lei seria. Posò la candela sul cassettone e si tolse gli occhiali.

Nonostante la luce non splendesse completamente su di lei Gaudenzio notò un particolare; aveva delle zone sotto gli occhi di un colore viola tendente al nero. Sicuramente non erano effetti di una pessima dormita ma di qualcosa ben più peggiore.

"E quelli?" chiese, sempre debolmente come se Jacobi avesse potuto fare irruzione da un momento all'altro.

Giulia se li massaggiò.

"Se li tocco mi fanno ancora male" disse con un sorriso amaro.

"Come te li sei fatti?" gli domandò nuovamente stavolta mettendo più prepotenza nella frase.

In pace e in conflittoWhere stories live. Discover now