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La campanella della porta fece risuonare la sua dolce melodia.
Elena si girò e fu sorpresa di vedere chi era la persona che si era palesata davanti a lei: era Gaudenzio.
"Tu che ci fai qui?" ammiccò lei corrucciandosi.
"Mi pare che in una sartoria si venga per farsi cucire gli abiti" rispose lui con la stessa voce che aveva la   donna: supponenza.
Elena si passò una mano fra i capelli, si avvicinò al bancone, vicino a Gaudenzio.
"Credevo che qualche settimana fa l'avessi capito: non voglio vederti" disse lei dura.
La tristezza di quel giorno ancora pesava a Gaudenzio, ancora non era riuscito a superare completamente la morte della moglie. Certo, le mancava, ma si tranquillizzava perché sapeva che lei e il figlio erano felici, e lo guardavano, lo vegliavano.
"Non me l'hai detto esplicitamente" rispose infilando una mano nel sacchetto appoggiato sul bancone su cui aveva portato il capo da far sistemare.
"Noi donne saremo felici solo quando gli uomini riusciranno a indagare dentro di noi" disse alzando un poco la voce e girandosi verso lo scaffale per prendere una spagnoletta. Elena sussultò e poi una stretta al cuore la colpì.
"bene!" urlò Gaudenzio battendo la mano sul bancone "spero che quando succederà io sia vivo".
Elena lo riconobbe, il tono era arrabbiato, frustrato, ma quello non era il vero Gaudenzio. Stava tentando d'incantarla con la sua armatura, come avrebbe fatto con una nuova conquista. E lei sapeva che la nuova conquista fosse proprio lei.
La campanella risuonò nuovamente, ma questa volta in modo decisamente più forte. Si girò. Era sola dentro la sartoria e contemplò a lungo il punto in cui lui era stato lì. Sperava che come per magia potesse farlo riemergere dal fondo della sua solitudine.
Infilò le mani nel sacchetto che aveva lasciato. Dentro c'era una giacca. La uscì per guardarla meglio alla luce della finestra. Era di cotone, nero con due tasche ma sul retro c'era un punto in cui si stava scucendo. Nulla che non avrebbe potuto sistemare, anche se era arrabbiata, l'avrebbe sistemata. Tanto sapeva che sarebbe ritornato per ritirarla e allora gli avrebbe parlato.
Portò la giacca in una stanza sul retro, l'appoggiò in un tavolino vicino a una macchina Singer e iniziò a lavorare sulla rifinitura.

Avvolta dal rumore della macchinetta, sentì uno scampanellio. Che fosse lui? Una sua collega si alzò e andò a vedere.
Sei stata una stupida, Elena. Non dovevi sistemargli quella giacca. Poteva benissimo andare da Anna. Se si tratta di lui, gli distruggo la giacca come la guerra gli ha distrutto la vita pensò.
Mentre valutava questo pensiero, non si accorse che il suo dito indice che teneva ferma il capo d'abbigliamento andò sotto il piedino della macchina da cucire.
Diamine, hanno ragione quando dicono che al piacere si accompagna il dolore.
La collega ritornò.
"Di là c'è uno che vuole vederti" disse con noncuranza sedendosi alla sua postazione.
Elena alzò gli occhi al cielo, con cupa soddisfazione raggiunse Gaudenzio. "Dov'è la mia giacca?" chiese una volta che vide Elena a mani vuote, o forse immaginava che qualcuno l'avesse buttata dopo che lui senza accorgersene, l'aveva dimenticata lì. "Sbaglio o quando sei arrivato avevi detto che la sartoria era un posto dove si riaggiustano gli abiti?" osservò Elena inarcando le sopracciglia. Gaudenzio arrossì. Dentro di lui voleva risponderle, ma come fare con una ragazza forte come quella che la stava facendo impazzire.
Cominci a imparare pensò Elena e, girandosi, ritornò nel retro a riprendere la giacca di Gaudenzio. Quando ritornò la posò sul bancone. "Ho visto che un punto sulle spalle si stava scucendo, stavo ultimando il lavoro e sarebbe ritornata come nuova".
In un istante, Gaudenzio perse la fredda durezza di prima. Sapendo che anche Elena era povera, com'era possibile che nessuno dei due si impietosisse dell'altro?
"Perdonami se te lo chiedo, ma da te non mi sarei mai aspettato una giacca così elegante. Vai a una festa?" Gaudenzio soffocò una risatina "Era il completo del mio matrimonio. Io e mia moglie eravamo poveri e avevamo speso un capitale pur di avere dei vestiti decenti"
Con un gemito sgradevole, Elena ammirò il capo disteso perfettamente sul piano
"Si tratta di un capo così bello. L'hai usata solo una volta?"
"Sì" rispose lui oscurandosi in volto, prese la giacca e la rimise dentro al sacchetto. Fuori iniziò a piovere.
"Se non fossi così infelice, indosserei la giacca tutti i giorni" disse Gaudenzio rivolgendo uno sguardo alla pioggia che scivolava dalla pioggia.
"E perché non la indossi? Staresti bene" disse lei guardandolo sorridendo.
Cos'era? Si sentiva strana. Prima l'odiava e ora sembrava amarlo.

Accidenti, ha ragione lui. Noi donne siamo fin troppo difficili.

"Ormai ho perso i motivi per sorridere. Lo sai,Patrizio è in carcere a Roma e io non ho la più pallida idea di cosa fare"
"Allora dovresti smetterla di stare qui a Torino, vai a Roma. Vengo pure io" controbatté Elena.
"Parla per te!" esclamò con violenza Gaudenzio "non fai altro che sgridarmi solo perché non sono riuscito a fermarlo. E soprattuttonnon mi farei accompagnare lo stesso" Elena prese una forbice molto affilata e la puntò contrò Gaudenzio. Le loro facce si toccavano, divise solo da un esile filo invisibile, l'invisibilità del loro amore.
"Sei molto forte e determinata" disse Gaudenzio " sei adorabile"
"Non cambiare argomento, io verrò a Roma con te e insieme cercheremo di scarcerare Patrizio" disse risoluta. Stava cercando di farsi un'emozione che lui riconoscesse. Era inorridita da quando Gaudenzio era ritornato da Bologna insieme ad Anna.
"Cercherò io dei biglietti" disse Elena posando lentamente la forbice "spero di partire tra una settimana" Gaudenzio,serio, si curvò verso di lei e gli diede un bacio sulla guancia. Poi uscì sotto la pioggia facendosi seguire da un orchestra senza senso che martellava la sua testa, la sua prima emicrania d'autunno.
Lasciò la giacca sul bancone, Elena doveva ancora finirla. 

In pace e in conflittoWhere stories live. Discover now