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A Torino Patrizio trovò subito un lavoro: facchino nella stessa pensione in cui alloggiava. Avevano bisogno di un uomo giovane, forte e robusto. E chi meglio di Patrizio? A suggerirlo al direttore, fu una donna anziana di nome Vilma, portava sempre un cappellino in testa e parlava a bassa voce per paura delle spie. Il lavoro iniziava la mattina per finire alle sei di sera, orario del coprifuoco. Ma staccava sempre qualche minuto prima per andare in cucina a prendere delle testoline di pesce e i loro rimasugli che stavano ad aspettarlo sopra un tavolino; il direttore aveva individuato in Patrizio un uomo docile e gentile che avrebbe potuto dar da mangiare ai suoi cinque gatti che vivevano nel retro della pensione, in mezzo a degli scatoloni. I precedenti "maggiordomi" ( il direttore amava chiamarli così) si erano rivelati dei traditori. Infatti, la fame e la disperazione spingevano i facchini incaricati di cibare i gatti a cibarsi di loro, esasperati dai surrogati che la propaganda pubblicizzava. Si avvicinavano a loro dolcemente, sussurrando delle dolci paroline, gli davano il cibo e poi attuavano il loro macabro piano. La stampa li definiva razziatori di gatti. Oltre alla cattura, alcuni si occupavano anche della vendita delle carni, spesso spacciandole per coniglio, alle trattorie. Il direttore tremava a ogni cronaca che leggeva sul giornale, lui amava alla follia i gatti, non sopportava quelle atrocità. Fortunatamente i suoi mici si salvarono sempre. Patrizio amava i gatti. Non ne aveva mai posseduto uno, ma gli erano sempre piaciuti, lo affascinavano, pensava che avrebbe potuto dirgli tutto; perché quando parli con un cane o un gatto quello non ti dice di stare zitto. Buttava a terra i pezzi di pesci e mentre loro mangiavano, lui gli faceva dei grattini sotto al collo e sopra la testa. Fu proprio in quelle occasioni che raccontò tutto di Spilla e la sua breve avventure con la banda partigiana. Ma i gatti non capivano, o forse stavano zitti perché in effetti quando ascolti il dolore di qualcuno non sai che dire. Ma poi tutto cambiò. Era il 28 marzo 1945 e 60 B-17 della 15° USAAF bombardarono la fiat lo scalo ferroviario e la città. Una bomba cadde di fronte la pensione distruggendola. La facciata si squarciò aprendosi come un foglio che viene trapassato da una matita. In quel momento, al suono delle sirene, Patrizio stava ritornando alla pensione con le buste della spesa. Le abbandonò quando si accorse della situazione e si rifugiò in un bunker assieme ad altra gente; impaurita come lui. Finito, la pensione non esisteva più: i dipendenti morti, le camere distrutte; le sue cose sparirono come una bolla che esplode; i gatti erano morti. Ne trovo uno solo,apparteneva ad una cucciolata nata da poco. Era l'unico superstite. Era ricoperto di polvere, calcinacci, il pelo che era bianco con delle striature rosse sulla schiena, sulla faccia e sulla coda, si vedevano appena. Miagolava impaurito e zoppicava da una zampa. Le orecchie erano abbassate all'indietro,quasi appiattite, non si vedevano. Il dorso era arcuato e in posizione orizzontale. Le pupille erano dilatate e gli occhi sbarrati mostravano tutta la sua paura. Faceva freddo e Patrizio indossava un giaccone la cui pelle stava lentamente staccandosi. Se lo tolse rimanendo con un semplice maglione rosso e avvolse il gattino nel giaccone sussurrando qualche parolina di conforto mentre il gatto era paralizzato. Si mise a correre per la discesa come un disperato arrivando ad uno spiazzo in cui era riversa la gente e diverse macerie facevano da contorno alla scena. Stanco,si sedette su un cumulo di macerie, sospirò. Erano in prevalenza donne, bambini e qualche vecchio. Tutti sembravano impazziti, parlottavano tra di loro, i bambini piangevano. Vicino Patrizio c'era una donna molto anziana,aveva il volto solcato dalle rughe,era seduta su una sedia a dondolo in mezzo alle macerie. Nelle spalle aveva uno scialle rosa, teneva gli occhi chiusi e sembrava che mormorava qualcosa in dialetto. A lei si avvicinò una giovane donna. Portava una gonna color verde militare rattoppata che le arrivava fino al ginocchio e una maglia ricavata da una coperta. Aveva delle calze, ma presentavano dei buchi. I capelli erano bruni, sciolti e arrivavano fino alla nuca. Aiutò l'anziana donna a spostarsi ma non ce la fece e stava quasi per farla cadere. Patrizio assistette alla scena e come un fulmine afferrò la donna prendendola per la pancia, in tempo per non farla cadere e la rimise sulla sua sedia. Lei non si accorse di niente, era muta, sembrava una statua. "Grazie" disse la giovane sorridendogli " mi aiuterebbe a portarla lì?" chiese indicando con il dito una casa di un solo piano ancora intatta. La trasportarono lì dove una donna la prese per scomparire dietro un cortile. " è sua nonna. Conosco la ragazza."
" è una vera tragedia"
Nella confusione generale, arrivarono rombando, tre camion e cinque jeep tedesche cariche di soldati. Li sorpassarono sollevando un bel po' di polvere e sparendo lungo la strada. Si iniziò a diffondere la voce che c'era uno sciopero; altri dicevano che gli automezzi appena passati contenessero viveri da dare alla popolazione e che stavano andando a offrirli in un altro spiazzo perché quello era troppo piccolo. Nella confusione generale, molti seguirono la strada fatta dai tedeschi; così come Patrizio e la donna. E in effetti, i tedeschi erano lì, accerchiati da migliaia di persone. Stavano distribuendo del cibo. Alcuni iniziarono a dire che richiedevano la tessera annonaria che garantiva solo un terzo del fabbisogno giornaliero. Molti altri,invece, dicevano che non c'era bisogno della tessera, era tutto gratuito.Patrizio si avvicinò e constatò che quei prodotti erano dei surrogati, dalla farina allo zucchero. Lo disse alla ragazza.
" meglio di niente" rispose lei " sono abituata ai surrogati".
La gente iniziò a mettersi in fila. Ma gli animi si infuocarono nuovamente, la fila che cresceva sempre di più, iniziò ad agitarsi. Molti superavano il posto, i tedeschi erano lenti, passavano la maggior parte del tempo a discutere tra di loro piuttosto che distribuire cibo. Alcuni se ne andarono via. Patrizio e la ragazza rimasero e finalmente arrivò il loro turno. La ragazza alzò un poco la gonna a mo di sporta che venne riempita di farina, a Patrizio diedero un pacco di zucchero e una confezione di quattro uova. Ritornarono allo spiazzo dove si erano scambiati le loro prime frasi. Vedendo il suo giaccone appallottolato si preoccupò.
" dov'è?"
la ragazza non capì.
" c'era un gatto dentro al giaccone, non lo trovo più" si disperò.
Frugò e lo trovò sommerso, stava dormendo. Quando si accorse che la sua coperta era stata tolta, sbadigliò. "è suo?" chiese lei.
"no, era del mio direttore. È vittima del bombardamento" disse accarezzandolo.
La ragazza gli accarezzò il nasino con un dito sporcandoglielo di farina
" è veramente molto bello" "dimenticavo" disse Patrizio " questi sono suoi" disse riferendosi allo zucchero e alle uova.
Tolse il micino dal giaccone e li mise dentro i due pacchi.
"le uova le tenga lei" disse sorridendo "gli servono"
Patrizio rimase interdetto, a bocca aperta
"grazie"
"a proposito, può chiamarmi Anna. Lei invece ...?"
"Patrizio"balbettò.
Anna esplose in una risata " spero lei viva qui vicino, io sto in un convento di suore"

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