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Giulia aspettava nella sala d'attesa. Aveva una sigaretta in bocca e soffiava il fumo nell'aria fredda della stanza. I suoi capelli erano attorcigliati in riccioli selvaggi e ribelli, il corpo adornato con un vestito pagato da Jacobi. Quando la chiamarono, alzò lo sguardo e vide Patrizio scortato da un uomo. Lo conosceva da molto, prima e durante la guerra aveva avuto occasione di scambiare qualche parola con l'uomo che ora Jacobi voleva alla forca. Sorpresa, si rivolse a Patrizio.
"Ciao" gli disse. Poi divenne nervosa. La paura e l'ansia inondarono il suo corpo e con le dita cercò di addentare la punta del fazzoletto dentro la sua borsa. Le lacrime iniziarono a scorrere lungo le guance. Sembrava che quel giorno non dovesse mai finire.
Li seguì e vennero portati nella stessa stanza in cui Patrizio aveva avuto il suo incontro con Jacobi. Vennero lasciati soli e si accomodarono nelle sedie.
"A cosa devo questa visita?" chiese Patrizio. Alla vista della potente luce che penetrava dalla finestra, Giulia chiuse gli occhi. Un dolore lancinante la percorse e gemette di dolore. Non riuscì a trattenere le lacrime.
"Perché sei qui?" richiese Patrizio. La voce di lui alla domanda suonò così roca che Giulia fu costretta ad aprire gli occhi. Non voleva discutere subito per il fatto di trovarsi lì, prima di tutto trovò una via d'uscita.
Guardò l'orologio appeso alla parete. Erano quasi le tre del pomeriggio. "Mentre venivo qui ho sentito che Pietro Koch è stato giustiziato. Non ci crederai, ma Jacobi si trova a Forte Bravetta"
"Il luogo dove l'hanno ucciso?" lei annuì.
"Quando sono arrivato qui l'ho visto solo una volta"
"Normale, l'hanno tenuto poco qui dentro"
Lentamente Patrizio gli richiese perché lei fosse lì.
"Volevo accompagnare Jacobi a Forte Bravetta ma poi me ne sono pentita e ho deciso di farti visita"
"Un gesto veramente carino da parte tua"
"Se mi scopre mi uccide, posso stare qui per poco"
"Io lo so che è stato lui a denunciarmi" disse Patrizio alzando il tono della voce.
"Siamo in guerra, dipende dalla situazione" disse lei
"la guerra è finita! Sono certo che è stato lui"
Giulia scoprì la manica del vestito del braccio e lo fece vedere a Patrizio. Alcune zone erano rosse, segni di violenza. Lui la guardò con sguardo interrogativo.
"Me li ha fatti lui, è violento"
"Che fosse violento l'avevo già capito" "Si alza la notte e senza motivo mi picchia. Sono sempre stata in silenzio, ho paura. Va così da tre anni" "Dovresti denunciarlo"
"La situazione peggiorerebbe. In questi anni l'ho scoperto con molte donne"
Giulia si alzò.
"Vado"
"Sei stata pochissimo"
Giulia sentì una presa dura sulla spalla e la donna si incamminò verso la porta. Prima di aprire disse a Patrizio che Gaudenzio si trovava a Roma.
"Lo so" rispose lui.
"Lo porterei qui ma so già che Jacobi metterà i bastoni tra le ruote" disse per poi uscire e richiudere la porta.

Gaudenzio e Anna erano ritornati a Torino il 10 agosto con un buco nel nulla, solo il diario di Patrizio che sembrava non dire nulla di rilevante, tranne la relazione tra lui e Spilla. Neppure Angela ed Eugenio erano d'aiuto, nonostante fossero due dei più importanti bolognesi. Oramai non c'era più nessuna speranza. Anna si chiedeva cosa ne sarebbe successo di lei, ormai il suo amato sembrava condannato a morte certa nonostante non avessero sue notizie da tre mesi. Durante il viaggio lei si passò più e più volte nervosamente la mano tra i capelli.
Allo stesso tempo, Gaudenzio stette a capo basso e ad intingere le pagine del diario con le sue lacrime.
Quando arrivarono a Torino si abbracciarono nella stessa piazzola da cui erano partiti.
"Non abbiamo più nessuna speranza, non potrò mai più rivederlo" disse affranta Anna.
Come avrebbe potuto tranquillizzarla, proprio lui che aveva bisogno di affetto dopo la perdita della moglie? Anche il meteo sembrava avercela con loro, c'era un baccano infernale. Il vento infuriava facendo svolazzare qualsiasi cosa leggera, stava per arrivare il primo temporale estivo. "Vedrai che una soluzione la troveremo" cercò di consolarla.
"Mi è difficile crederlo" disse Anna cacciando a malapena le lacrime che iniziavano a fuoriuscire dagli occhi "la solitudine mi accompagna dal mattino alla sera, qualsiasi cosa mi sembra vana. Sono stanca"
"Ti accompagno a casa" disse lui con un suono secco.
Anna camminava davanti a lui verso l'abitazione di lei. Fino a quando arrivarono in una zona isolata dove c'era solo un vecchio convento di suore.
"Vivi qui ?" chiese lui incredulo.
"Sì" la lasciò davanti il portone, prima di dividersi si abbracciarono. "Lasciami dire un'ultima cosa" disse lei "quando ho detto che sono stata violentata da un soldato tedesco e che avevo avuto un figlio, non era vero. Angela mi aveva fatto arrabbiare con le sue idee da persona colta, mi ha fatto sentire inferiore"
La pioggia iniziò a cadere lenta, lì davanti passò un'anziana donna che cantava e un bimbo che piangeva, aveva il dito in bocca.
"Guardali" disse Anna "se non fosse stato vero quello che ho detto, avrei fatto la loro stessa fine"
Davanti a loro il portone si aprì per rivelare un ombrello nero aperto e poi la figura che lo teneva in mano nell'atto di proteggersi dalla pioggia: era Elena.
Prima guardò Anna, poi Gaudenzio.
"Oh, siete tornati"
Anna annuì, prese le valigie ed entrò in silenzio, chiudendo la porta. I due rimasero sotto la pioggia, soli. Sembrò che Anna potesse contare quanti aghi d'imbarazzo aveva in faccia Gaudenzio. Erano entrambi creature comuni. Bastava loro un gesto affinché sollevassero amore o disprezzo, a seconda dei casi. La loro vita scorreva come un fiume in piena. "Come stai?" chiese innocentemente Gaudenzio. "Come al solito, tu?" Mormorò un leggero <<bene>>.
Elena stava per incamminarsi. Gaudenzio non voleva perdere quell'occasione, prese le valigie e la raggiunse sotto l'ombrello.
"Spero tu abbia passato una bella estate"
"Se per te una bella estate e stare sotto l'occhio attento e vigile delle suore sulle rive del lago Maggiore, non so quale sia la tua idea d'estate"
"Avverto una leggera carica di arroganza nelle tue parole, rispetto ai nostri primi incontri" disse lui
"Si tratta del mio carattere, cosa posso farci. Invece tu, come hai trascorso la tua estate. Ho saputo che sei stato a Bologna con Anna. Immagino vi sarete divertiti, lì si trova Rimini e Riccione, siete stati in una sdraio in prima fila a divertirvi e a fumare sigarette al metanolo?" disse con un tono di amarezza
"A dire il vero è stata la mia prima estate strana. Non potrei nemmeno permettermi quello che hai elencato" Perciò iniziò a raccontare del suo incontro con Patrizio, di quando fu arrestato e di come arrivò a finire a Bologna. Il racconto fu così lungo che Elena, una volta che Gaudenzio finì, dimenticò pure cosa doveva fare. "Non avrei mai potuto immaginare ..." disse.
Nonostante in cuor suo fosse ancora gelosa perché alludeva ad una relazione tra Gaudenzio ed Anna, il racconto la colpì in profondo
"Se c'è qualcosa che potrei fare, dimmelo"
"Ben poco, sicuramente lo giustizieranno"
"L'hanno già processato?"
"Non lo so, ma da Bologna volevo andare a Roma al Regina Coeli" "Perché non l'hai già fatto?"
"Non volevo lasciare sola Anna. Quella povera donna" sospirò "la vita del suo futuro marito è appesa ad un filo. Durante il viaggio mi ha detto che avrebbe annullato le nozze. Per rimanere zitella a vita"
"Non possiamo permetterlo!" disse risoluta lei "Si tratta di un tuo amico, non puoi stare fermo, agisci!"
"Fosse semplice ..."
"Al convento siamo tutte povere. Sai come Anna ha organizzato le nozze? Io e le altre abbiamo fatto una colletta e in un giorno abbiamo racimolato una grande somma, anche grazie all'aiuto delle suore che sono detestabili" disse risoluta "Ora tu vai al Regina Coeli e cerchi di intavolare una trattativa con loro per liberarlo" "Non funzionerebbe, no, no, no" disse Gaudenzio scuotendo la testa. Prese il polso di Elena "Stanno fucilando tutti i partigiani, secondo la polizia, lui è un partigiano. Leggi i giornali?" disse sbraitando contro di lei.
Lei si dimenò fino a staccarsi da lui e gli diede uno schiaffo nella guancia bagnata di Gaudenzio.
"Mi avevi fatto una bella impressione all'inizio. Cosa sei?" chiese schifata e tenendo l'ombrello lontano da lei, bagnandosi.
"Ti sembro uno stupido?" Urlò lui.
"Un piccolo uomo. Ecco cosa sei!" disse lei ad alta voce.
"Perché voi donne siete tutte così difficili?" chiese lui con il capo abbassato.
Quando si rialzò, vide Elena che attraversava la strada sotto la pioggia.

Alla fine Gaudenzio non ritornò a Roma. Lui e Anna avevano ormai esaurito l'ultimo briciolo di speranza. Anche Eugenio non cercò di intervenire, ormai rassegnato pure lui. Il tempo passò e Gaudenzio e Elena non si incontrarono più, nonostante lui di tanto in tanto andasse a bazzicare nelle zone della banca dove lavorava lei. Per fare cosa poi?
A fine settembre, la sede centrale venne ristabilita e quella nel centro storico chiusa, pronta per essere riconvertita in qualcos'altro. Elena non poteva permettersi più un lavoro, al mattino avrebbe dovuto pagare due tram diversi, e vista la spesa, decise di rinunciare. Le suore cercarono di indirizzarla verso la via della fede.
Credeva, ma diventare suora non era la sua aspirazione. Così finì a lavorare da un calzolaio che in precedenza aveva dato lavoro ad Anna.

Dopo l'incontro con Elena,  Gaudenzio uscì poco da casa. A settembre faceva ancora caldo, ma una volta arrivato ottobre, fece il suo ingresso il freddo. Casa sua disponeva di un caminetto che non veniva acceso da quando i prezzi si erano alzati, ma doveva pur scaldarsi. Così trovò lavoro in una piccola bottega da un uomo anziano amico di suo padre.
Con la sua prima paga acquistò della legna e un pacco di fiammiferi per il piccolo camino che aveva in casa.
Ma un giorno, passando davanti una vetrina, vide qualcosa che non poté non attirare la sua attenzione.
Era un qualcosa di eccessivo e che pochi possedevano, ma pensò che poteva servigli lo stesso: installò un telefono, un capriccio che credeva potesse servirgli.

Frattanto, al Regina Coeli tutti sembravano dimenticarsi di Patrizio. Non era ancora stato chiamato al processo, a quanto pare il giudice e un paio di altri uomini erano rimasti incastrati in un brutto guaio legale. Nel frattempo, Patrizio poté conoscere quello che succedeva solo tramite quello che gli raccontavano le guardie che avevano letto il giornale.
Il 22 ottobre a Roma pioveva, l'Italia era scossa. Dall'alba, sulle pagine dei giornali era appena uscita la notizia che il giorno prima il compositore Arnaldo graziosi aveva ucciso la moglie Maria Cappa in una pensione di Fiuggi. L'opinione pubblica si divise; chi si schierò dalla parte di Graziosi che si dichiarava innocente, e chi l'accusava dell'omicidio della moglie.
La notizia fece sbiancare Giulia che, da appassionata di musica qual'era, non poteva immaginare il viso del buon Graziosi sparare alla moglie mentre la loro figlioletta di tre anni dormiva beatamente accanto a loro.
Il pensiero la spaventò tanto da valutare la proposta di fuggire da sua sorella in Brianza.
Il solo vedere le pistole che Jacobi teneva in casa era un sentimento che la opprimeva terribilmente.
Del resto, lei non l'amava, l'aveva scelto solo perché vedendolo in un bar, lui aveva iniziato a parlarle.
I suoi occhi vagarono dal giornale alla finestra dove sentì chiaramente il motore della macchina di Jacobi.

Quel giorno si celebrò il processo a Patrizio. Era in una sala molto piccola, in prima fila, seduto, c'era Jacobi che sorrideva divertito.
Il secondino gli lasciò il braccio per allontanarsi e lasciarlo vicino a Jacobi.
"Ci vuole un vero eroismo a vedermi, eh?" disse Patrizio.
"Senti? Senti?... cosa dice mai questo signore?"disse divertito Jacobi.
"Non costringermi a far diventare quest'aula un bagno di sangue" rispose minaccioso Patrizio.

Per tutta la durata del processo non fece che guardarsi le scarpe. Il suo volto sembrò liquefarsi. Era pessimista, e aveva ragione.
"Patrizio Zani è condannato alla pena di morte!" disse il giudice tuonante.

Patrizio svenne, lo trasportarono di nuovo nella sua cella. Non pianse, non gridò, non imprecò, era solo e dimenticato in quella mattina di fine ottobre.

In pace e in conflittoWhere stories live. Discover now