III

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Gli steli di paglia secca avevano una consistenza molto più piacevole sotto alle dita di Estella rispetto ai fili che usava per tessere i suoi arazzi. Erano lisci, piatti e il loro giallo timido diventava un prezioso dorato sotto ai raggi del sole. Mentre le sue mani li intrecciavano in nodi e anelli, sentiva le vibrazioni delle fusa provenienti dalla gola della piccola tigre accoccolata contro il suo corpo, con il muso beato in un profondo sonno appoggiato alla sua gamba. Se prima Estella apprezzava la compagnia dell'animale, da due mesi si era trovata a non poterne fare meno. Ogni volta che ne incontrava gli occhi allungati, rivedeva quelli del cantore da Ovest, chiari nella sua memoria come un arazzo su cui aveva passato settimane. Ogni volta, quando vedeva qualche dettaglio iniziare a sfilacciarsi, divorato dalle tarme del tempo, si premurava di ricucirlo con i fili della sua immaginazione, tessendo fino a che l'immagine non tornava chiara e cristallina.

Non le ci volle molto per terminare i sandali nuovi. Era un lavoro tedioso, benché veloce, ma necessario. Inoltre, la mancanza di nuovi avvenimenti nel villaggio l'aveva privata del suo telaio in quelle ultime giornate e sua madre aveva già trovato molti altri modi per impiegare le sue mani per la famiglia. Lo stesso, per lo meno, valeva anche per Rocío, che sbuffava a intervalli regolari dall'interno della capanna mentre ricopriva il fondo degli arazzi che tappezzavano il terreno con grasso di bombo, in preparazione della pioggia. Estella non la invidiava: era forse il lavoro più disgustoso da compiere, per colpa dell'insistenza con cui il grasso si aggrappava alle mani, oltre alla sua spiacevole consistenza ogni volta che vi si doveva infilare le mani in mezzo.

Gli occhi della ragazza si abbassarono sul suo lavoro compiuto, che appoggiò davanti a sé per misurare che entrambi i sandali avessero la stessa dimensione. Il suo sguardo, però, fu velocemente distratto dalla colonia di cavalli che iniziò a percorrere il terreno attorno alle calzature. I minuscoli animali, grandi appena metà di una sua unghia, facevano correre le loro corte zampe uno dietro l'altro in una fila perfetta, diretti verso una piccola cunetta nel terreno, al riparo. Estella sospirò.

-Vengo a darti una mano. Dobbiamo finire in fretta, sta per piovere- pronunciò, rivolgendosi all'indietro verso sua sorella minore. La ragazza riportò lo sguardo davanti a sé, scrutando il villaggio eccezionalmente silenzioso mentre con carezze gentili cercava di svegliare la tigre addormentata. La mancanza delle capofamiglia era palese quanto un cielo senza luna.

-Il silenzio è assordante, non è vero?

Estella sussultò, sollevando lo sguardo sulla presenza che non aveva notato avvicinarsi. Il terzo marito della capo villaggio le sorrideva cordialmente, con le mani giunte dietro la schiena e uno sguardo gentile. Estella, a quel punto, annuì.

-È così strano. Lo detesto.

L'uomo ridacchiò sommessamente alle sue parole. Era vero. Odiava la mancanza delle voci altisonanti delle donne, delle loro risate che riecheggiavano per tutto il villaggio, del chiacchiericcio onnipresente che viaggiava di capanna in capanna. Quel momento dell'anno, d'altronde, era dedicato alla raccolta della pietra dell'Unione. Ogni capofamiglia, insieme alle figlie che sarebbero diventate esploratrici, viaggiava in un unico gruppo per raggiungere la cava nella roccia che conteneva la pietra. Era l'unica cava che la producesse e, per questo, era considerata il bene più prezioso. Una volta schiacciata, diventava una polvere di un turchino talmente intenso che nessun altro pigmento poteva anche solo esservi comparato. Secondo le capofamiglia, erano le lacrime della Dea, che aveva concesso loro affinché li proteggessero fino al giorno in cui non tornavano a far parte del suo corpo sotto forma di polvere. E, per quel motivo, a ogni neonato veniva donato un sacchetto contenente la pietra sbriciolata da portare al collo per il resto della vita. La cucitura del sacchetto sarebbe dovuta essere aperta solo al proprio matrimonio, dove avrebbe tinto la pelle degli sposi per simboleggiare la loro unione, e al funerale, in cui avrebbe segnato il viso della persona in base al ruolo che aveva avuto nella sua vita.

Il filo turchino (K.TH)Where stories live. Discover now