XXXVII

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-È curioso...

Namjoon deglutì. Senza spostare la testa, lasciò che i suoi occhi scivolassero con cautela accanto a sé, sulla figura che marciava elegantemente verso il suo scrittoio.

-Che cosa è curioso, maestà?

Dopo il suo coraggioso, benché temerario al punto di sfiorare la stupidità, esordio nella sala del consiglio, il giovane aveva optato per mantenere la facciata più pacata e deferente possibile.

-È curioso il collegamento che hai fatto tra la profezia della Luna e la guerra che si sta per approcciare. È un pensiero che era sfuggito perfino a me.

Namjoon inspirò, cercando di pietrificare la sua faccia in un'espressione ostentatamente calma.

-Siete stata voi a insegnarmi a sfruttare ogni gioco a nostra disposizione. Ho solo pensato che la spiegazione fosse calzante e che la gente sarebbe stata ricettiva all'idea che gli dèi vogliano proteggerci in questo conflitto.

La sua gola era come miele appiccicoso, fastidiosamente viscoso, aggrappato a ogni parola e difficile da lavare via. Ma doveva suonare spontaneo. Doveva suonare normale, realistico.

Era stata un'interessante logica, la sua. Un'arguta strategia.

Non aveva nulla, assolutamente nulla a che fare con il suo amore per la persona che aveva pronunciato la profezia.

-Ed è stata una buona intuizione, Namjoon. Ovviamente, ho subito pensato che l'idea che avessi coltivato un'improvvisa e inaspettata fede religiosa fosse irrealistica, conoscendoti.

Non riusciva a leggere il tono della sua voce. Seduto di fronte a lei, ringraziò per il fatto che lei, come suo solito, fosse intenta a leggere i documenti appoggiati sullo scrittoio. Non avrebbe potuto contemplare il suo volto, scavarvi alla ricerca della verità che riusciva a malapena ormai a soffocare dentro di sé.

-Come ho detto, ho imparato da voi. Non sarò un fervido religioso, ma ho capito che dovrò sfruttare il Tempio a mio vantaggio.

Quando Namjoon deglutì, la sua saliva aveva il retrogusto di un tè amaro, lasciato in infusione per giorni e giorni e abbandonato nella teiera per mesi, a marcire e creare muffa e impuzzolentire l'ambiente.

Lui era un religioso.

La sua religione era la donna che osannava.

Aveva bisogno di vederla.

Aveva così impellente bisogno che pensava di poter morire.

Poteva davvero morire, solo perché la mancanza di una persona era tanto grave da togliere il respiro?

Ma a salvarlo fu l'inaspettato bussare alla porta. L'imperatrice parve sorpresa, sollevando perfino gli occhi dalle carte in cui erano sempre incollati con un lieve cipiglio sulla fronte.

-Presentate nome e titolo- annunciò alzando il tono della voce in un comando che potesse attraversare il legno.

Nessun servitore veniva a lei senza che lei lo attendesse. Nessun altro alla corte osava anche solo avvicinarsi a quella stanza tranne Namjoon. Doveva essere qualcuno che non era avvezzo a quella tacita consapevolezza.

-La principessa di Marina, vostra altezza- rispose con chiarezza la voce della guardia stanziata alla porta. Namjoon, a quelle parole, corrugò la fronte. L'unico motivo per cui la principessa doveva essersi presentata di persona... non poteva che essere legato alla proposta della sovrana.

Sua zia, infatti, annuì, tendendo appena le labbra.

-Le è concessa udienza.

La porta si aprì con quel famigliare, accennato cigolio che la caratterizzava e il viso spruzzato di nervosismo della giovane donna emerse. Non sollevò neppure gli occhi sui due presenti prima di piegarsi in un inchino e, anche una volta che si fu rialzata, sembrava non riuscire a mantenere il contatto visivo con nessuno dei due.

Il filo turchino (K.TH)Where stories live. Discover now